mercoledì 17 agosto 2016

SAGGIO (La colpa medica - 8.11.2003)


La colpa medica



di Gennaro  Iannarone



Avellino, Hotel de la Ville, 8 novembre 2003





L’argomento è stato trattato diffusamente da quelli che mi hanno preceduto, ma io non voglio ripetere gli stessi aspetti ma piuttosto illustrare ai presenti come si muove, come si orienta un giudice fra tante norme, perché qui sembra che voi abbiate avuto l’impressione di una tale contraddittorietà di principi, di una tale ostentazione di conoscenza della Giurisprudenza da farvi sentire ancora più insicuri nell’esercizio della professione medica. Io sono ben consapevole che voi avete di fronte il bene superiore della vita, noi abbiamo di fronte il bene della libertà e quindi mi aspettavo una esortazione ai giudici ad essere molto attenti prima di giungere a una sentenza di condanna per un omicidio colposo da colpa professionale medica perché con una sentenza di condanna, anche se un medico non lo si manda in carcere, si distrugge la personalità di un professionista che il più importante nella società.

E’ drammatica la vostra situazione allorché dovete agire, ad esempio, in presenza di un dissenso alla trasfusione, o nonostante altre condizioni che minano la vostra autonomia, la vostra libertà di determinazione scientifica. Da noi giudici oggi si usa troppo frequentemente la consultazione della Giurisprudenza, una forma mentis verso la quale sono fortemente critico, quella cioè di ricercare se una sentenza della Cassazione abbia risolto un caso simile a quello che si ha davanti, perché non basta il caso simile ma si dovrebbe trovare quello uguale, identico, che esiste più in teoria che nella realtà. E poi è contraddittorio affermare da un lato che il medico ha il dovere di salvare la vita del paziente e nello stesso tempo ritenere che egli non possa ledere l’integrità psichica del paziente quando ci sia stato un suo dissenso, ad esempio ad una trasfusione. Qui delle due l’una: o c’è lo stato di necessità e allora il medico deve agire per salvare la vita del paziente, senza preoccuparsi della responsabilità penale dalla quale è immune sia per l’art. 51 (adempimento di un dovere) che per l’articolo 52 del Codice penale (stato di necessità).

Per me, la verità è un’altra, i miei anni di carriera e la conoscenza dell’ordine sociale e storico mi portano ad un’evoluzione del discorso. Cosa fa in ipotesi un giudice per orientarsi di fronte a un caso giudiziario? Guarda prima le norme vigenti e poi guarda la società, cioè il caso concreto? No! Il giudice deve prima guardare la società e il caso umano che ha davanti e poi guardare le norme, ma unicamente per andare alla ricerca della Norma Vivente. Comunemente i giudici, dotati nella gran maggioranza di una cultura giuridica formale e di una cultura generale piuttosto mediocre, voglio dire non nutrita da profondi studi umanistici, guardano alla norma vigente, all’articolo “x” o all’articolo “y”. No, la capacità del giudice deve essere quella di andare alla ricerca della Norma Vivente.

Ma che cos’è la Norma Vivente? In effetti l’Ordinamento Giuridico è un organismo che si evolve nel tempo, sicché il vigore di una norma cambia con il passare degli anni. Peraltro – e questo è importantissimo – la norma vivente va individuata attraverso la lettura contestuale di più norme del sistema giuridico. Invero, se nella Costituzione c’è l’art. 31 (“Nessuno può essere sottoposto a una prestazione sanitaria senza il suo consenso”), nella stessa Costituzione c’è l’art. 2, che impone in primo luogo il rispetto dei Diritti Inviolabili della Persona. Guardate bene la Costituzione: noterete che la forza della norma si deduce dalla sua collocazione e la tutela primaria dettata dall’art. 2 si trova tra i principi fondamentali, l’art. 31 viene dopo.  Per cui, mentre l’art. 32 va d’accordo con il 2, il 31 confligge con il 2, ma è solo un conflitto apparente poiché il primo dei Diritti inviolabili dell’uomo è il diritto alla vita e questa va intesa innanzitutto come vita fisica. Il Medico deve tutelare assolutamente la vita fisica, che è la più importante perché sorregge la vita morale e quella psichica. Allora, se il Medico che deve tutelare la vita si trova di fronte a un paziente che gli nega il consenso alla trasfusione perché testimone di Geova, se nel corso di un’operazione chirurgica dalla trasfusione dipenderà la vita del paziente, dovrà superare ogni dubbio procedendo alla trasfusione, poiché avrà pure violato la sfera morale, religiosa del paziente, ma avrà agito certamente per salvare la più importante vita fisica. Lo esime da ogni responsabilità sia civile che penale lo stato di necessità e prima ancora l’adempimento del dovere principale del medico, esplicitamente menzionato nel famoso “Giuramento di Ippocrate”.

Quindi, in definitiva, la norma vivente è quella che promana da un indirizzo dettato da più norme, che il giudice deve fondere insieme nella sua mente all’atto del giudizio. Avete sentito quanti articoli vi ho citato? Avete notato che non vi è una sola norma che costituisce il comando dato all’individuo nella sua azione individuale e sociale, ma l’interpretazione di un sistema di norme dalla cui contestuale lettura sono venuti fuori più valori tutelati, e che fra essi c’è una graduatoria che ha visto al primo posto la tutela della vita fisica della persona come essenziale?

Tra i principi che hanno sempre retto e orientato la società, sin dalle scuole antiche di Sparta e di Atene, l’Educazione all’Autorità nelle Tirannie, l’Educazione alla Virtù nelle Democrazie. Oggi si avverte un conflitto quanto mai vivo e lo si avverte perché il principio di libertà è giunto a toccare picchi esasperati nei Diritti mentre è soppresso, diciamo piuttosto attenuato, messo in ombra, il principio di Autorità. Perché vi sto parlando del principio di Autorità?

Perché viene in gioco la vostra Autorità. L’Autorità della Scienza Medica, l’Autorità della Cultura della Classe Medica. Qui si esagera in questo senso, secondo me, nel guardate troppo a quelli che sono i Diritti, i Consensi e i Dissensi, è esagerato l’ossequio al famoso articolo 31, che è di certo sub-valente rispetto al Diritto alla Salute (art. 32) e al Diritto alla Vita (art. 2), che va guardato più propriamente non come appartenente al paziente, al malato ma come Dovere di salvare la Vita che è tutto nelle mani del Medico.

 Se ci guardiamo intorno che cosa vediamo e sentiamo? Qualcuno che dice: “Io la cintura di sicurezza potrei anche non mettermela”, oppure un altro: “Io posso disporre della mia vita, posso optare per l’eutanasia senza dar conto a nessuno”. Sull’aborto, le famose frasi delle donne: “Il corpo è mio e me lo gestisco io” sono esasperazioni che vengono da una lontana ventata del ’68. C’è anche, invece, una ventata contraria, un recupero, perciò dico: ”Guardiamo la società”, noi giudici dobbiamo guardare la società in tutti i suoi aspetti. Io il problema lo vedo così, vedo che in questa civiltà di massa, in cui emergono, fin troppo, i Diritti Individuali, c’è bisogno del recupero di un principio di Autorità. Questo recupero del principio di Autorità fa sì che può essere senz’altro richiamato il principio di supremazia dell’opera del Medico, del Chirurgo su quelle che sono le volontà del paziente.

Ciò si osserva anche nella riforma della Scuola che è stata varata, e che ha recuperato il principio di unità della Cultura, togliendo più maestri davanti ai bambini e mettendone uno solo, il tutor, colui che recupera una certa Autorità della Cultura in senso ampio e, con essa, recupera anche una parte del principio di Autorità che abbiamo perduto. La Cultura non si può bistrattare, non si possono sentire tante voci, seguire tante “giurisprudenze”. Ritengo che molti giudici non si siano messi alla ricerca di un principio conduttore superiore, i Diritti Inviolabili della Persona, né hanno saputo osservare questa società che pian piano si sta muovendo verso un recupero dell’Autorità, nei momenti in cui limita l’individuo, limita il cittadino, perché lo ritiene non titolare di un egoistico diritto a vivere, ed anche di un dovere di solidarietà sociale, “Tu devi vivere, e io medico faccio del tutto per farti vivere anche contro il tuo dissenso ai trattamenti che ti possono salvare la vita, quella vita che non ti appartiene proprio in forza dei principi morali della tua religione”.

Passando ad altro argomento, in giurisprudenza è stato elaborato il concetto di responsabilità cumulativa, quando si opera in due, in più. Io non sono un competente della materia, ma in ogni fase ho visto una coppia operativa, il Medico e il Tecnico, il Medico e il Biologo, il Medico e l’Infermiere, per cui c’è questo richiamo ai principi della corresponsabilità, oltre alla responsabilità cumulativa.

In effetti il Medico ha il dovere di controllare colui che gli è sottoposto dal punto di vista tecnico professionale, l’Infermiere, ma ci sono delle situazioni nelle quali il Medico non può, indubbiamente, controllare e controllare tutto. C’è anche una teoria del Diritto Penale che si chiama la Teoria dell’inesigibilità, nel senso che alcune cose non si possono esigere. Se, per esempio, un Medico ha incaricato un Infermiere di controllare un decorso operatorio post-trasfusionale, e l’Infermiere non va dal paziente, non lo osserva, non riferisce al Medico di una certa sintomatologia preoccupante, come la chiamereste questa colpa? Vogliamo chiamare il Medico a controllare anche se l’Infermiere gli riferisce o meno? Non sono della materia, ma penso che un Medico non può stare sempre vicino al paziente, ma può delegare con precise indicazioni questa attività di controllo all’infermiere. Con riguardo alla responsabilità cumulativa in caso di attività medico-chirurgica, anche qui la giurisprudenza ha oscillato, perché si è passati da un principio di affidamento, per cui, nell’equipe chirurgica, il Chirurgo, il Primario, così l’Aiuto, si dovrebbero ognuno affidare all’opera dell’altro, cioè essere tranquilli e sicuri di quanto svolge l’altro, al principio del controllo.

Cioè, in effetti, ognuno che opera deve controllare l’attività altrui. Quando si opera chirurgicamente, la giurisprudenza ha esaminato il caso della correlazione tra Chirurgo e Aiuto, tra Chirurgo e Assistente ed ha chiamato qualche volta a rispondere cumulativamente perché uno non aveva seguito le operazioni dell’altro. Così come la giurisprudenza ha considerato, in alcuni casi, l’autonomia di alcune attività come quella, ad esempio, dell’Anestesista. C’è stata una sentenza del Tribunale di Genova che si è interessata di un caso in cui l'Anestesista aveva intubato male il paziente e gli aveva prodotto una lacerazione tracheo-bronchiale per un’erronea manovra del tubo di Carlens, che se ben ricordo si chiama così.

Beh lì, l’opera dell’Anestesista che intuba in maniera inesperta il paziente è fuori del controllo del Chirurgo. Tra Chirurgo ed Anestesista la Giurisprudenza solitamente pone uno iato, li separa, non considera più l’equipe, invece l’equipe è configurata tra Chirurgo e Aiuto, Assistente, sempre Medici, cioè coloro che operano, cioè coloro che compiono fatti commissivi e quindi che possono incorrere in colpe per imperizia, imprudenza e negligenza. Questo è uno degli aspetti che mi interessava segnalare, un altro è quello del grado della colpa. Vorrei ora passare ad un momento di autocritica del giudice, perché ci sono delle affinità tra la professione del Medico e quella del Giudice, l’uno deputato a salvaguardare la vita, l’altro la libertà.

Noi Giudici, tempo fa, rispondevamo soltanto per dolo e mai per colpa, poi c’è stata la legge n. 117 del 1988, che ci chiamò a rispondere anche per colpa grave. Voglio arrivare a dire che mentre noi Giudici siamo chiamati a rispondere solo per colpa grave, il Medico però non è chiamato a rispondere solo nei casi di colpa grave ma anche nei casi di colpa lieve. So che la Classe medica si sta battendo per essere equiparata ai giudici sotto tale profilo. Si sta battendo, appunto, perché pare giusto, di fronte ad una professione difficile come quella medica, che non si pretenda che egli risponda anche per delle lievissime colpe. La giurisprudenza ha elaborato autonomamente il principio che “Per l’imperizia c’è il limite della colpa grave” cioè che si può punire un medico quando la leges artis non le ha rispettate e quindi si è dimostrato chiaramente inesperto. Caso classico la garza dimenticata nel corpo del paziente, insomma, come esempio di massima negligenza e inesperienza. Per quanto riguarda i casi di negligenza o di imprudenza, ci si è mantenuti sul principio generale della colpa media, non della colpa grave, né di quella lievissima. Va comunque aggiunto, in conclusione, senza volervi annoiare, che in base a una serie di pronunce della giurisprudenza e di elaborati della dottrina (Nuscolo, Nizza ed altri) si è giunti ad affermare che l’accertamento della colpa professionale del medico deve comunque essere effettuato con una certa ampiezza di vedute e non con una impostazione rigorosa. Questo dovrebbe rassicurarvi un po’ ma non vi posso garantire che venga applicato nel caso che taluno di voi finisca davanti a un Tribunale per rispondere di omicidio colposo di un paziente. E’ pur vero, tuttavia, che voi agite per salvare una vita e che la vostra azione è sempre diretta a curare e a guarire, talvolta in condizione di disagevoli tempi stretti o di mancanza delle attrezzature necessarie, e ciò sempre nell’ambito dell’articolo 32 (Tutela della salute), raccordato sopra unitamente all’articolo 2 della Costituzione (Diritti Inviolabili della persona). In verità, anche io guardo le colpe mediche con una certa comprensione, nel ricordo che scartai l’idea di iscrivermi alla facoltà di Medicina e scelsi, dopo la laurea in legge, la più tranquilla professione del Giudice.

Un altro passaggio di cui pure mi interessava parlarvi era il nesso causale tra la colpa del medico e la lesione o la morte del paziente, forse il problema più difficile da risolvere. La giurisprudenza è giunta ad avvalersi del criterio della seria probabilità, confinante con la certezza. Abbiamo un filone giurisprudenziale il quale chiama a rispondere il Medico di una colpa per omissione. Si fa naturalmente l’analisi controfattuale, cioè ci si chiede: “Se non avesse omesso quell’atto medico, si sarebbe salvato il paziente”? Se la risposta è: “Sì, quasi con certezza”, si dovrebbe condannare, se invece la risposta è “Molto probabilmente sì”, allora, in mancanza del “quasi certamente” si dovrebbe assolvere il medico per il dubbio al nesso causale. E’ bene ribadire che in questo esempio gli unici due elementi certi rimangono soltanto la colpa del medico e la morte del paziente, mentre per il resto le situazioni concrete sono molto ardue.

Vi ho parlato del grado della colpa, grave, media, lieve, ho accennato per sommi capi a quello che è l’orientamento ancora oscillante della giurisprudenza e l’esigenza di approcciarsi al caso giudiziario con prudenza e con la comprensione della difficoltà dell’esercizio della vostra professione. Distinguere poi nell’ambito di queste tre figure, che sono pure difficili da individuare anche da parte di noi Giudici, sarebbe un complicare i problemi che sono già tanto complicati e confondervi le idee. Resta ancora qualche altro aspetto di ordine processuale che è utile illustrare. Intendo accennare ai consulenti del Pubblico Ministero. Anche qui devo dire qualcosa non in linea con le previsioni che hanno alcuni miei colleghi che forse, in un domani non lontano, non saranno più miei colleghi, se si separeranno le carriere.

Ho esercitato per circa nove anni e mezzo le funzioni di Pubblico Ministero, e sono portato ad osservare come agiscono oggi i Pubblici Ministeri. Rilevo che quella categoria ha acuito la sua aggressività verso il cittadino, nel ricercare e colpevolizzare alcuni comportamenti perché nel processo penale è entrata più incisivamente l’opera del Difensore.

Voi quando arrivate davanti ad un Giudice vi sentite più tranquilli di quanto lo siete stati davanti a un Sostituto Procuratore della Repubblica mentre vi interrogava. Chi vi fa più paura è il Pubblico Ministero con il consulente. E perché è accaduto? Io ve lo sto spiegando storicamente, non posso dare la colpa ai colleghi, perché i colleghi Pubblici Ministeri si sono trovati con l’ingresso progressivo della Difesa nel processo, fin dalle prime battute, ed è stato anche questo un portato dell’individualismo, dell’esasperazione della libertà e dei Diritti.

Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, il Pubblico Ministero ha reagito, com’era logico. E’ un errore, una superficialità dire: “L’Avvocato vuole imbrogliare le carte”. Non è vero. Se un Avvocato entra nel processo con lealtà, la ricerca della verità non è intralciata. Se un consulente del Pubblico Ministero si inserisce nel processo con lealtà, senza pensare alle successive perizie che avrà se farà il rigoroso, la via della verità non è intralciata.

Questa è una mia constatazione. Quando facevo il Pubblico Ministero, io ero e mi sentivo solo e mi sentivo solo perché mi sentivo prima di tutto Giudice, nel senso che dovevo comportarmi anche da difensore dell’imputato. Ecco, i Pubblici Ministeri di 30 – 40 anni fa erano organi di giustizia perché non si contrapponevano ai difensori come avviene attualmente. La verità è che a quei tempi, prima del rinvio a giudizio dell’imputato, il difensore del medesimo non aveva diritto a sapere nulla delle carte processuali. Ora, dovendosi contrapporre fin dall’inizio ad un difensore che ben presto è venuto a sapere della situazione di fatto gravante sul suo cliente, i P.M. sono diventati più duri ed allora sentono spesso la necessità di avvalersi dell’opera di un consulente. L’ideale sarebbe quello di un consulente obbiettivo, sereno, ed a tal fine è sempre consigliabile nominare consulenti docenti universitari o comunque persone che non hanno interesse ad accumulare incarichi. In verità, se il consulente ha il sentore che al Pubblico Ministero piace una soluzione rigorosa, siate certi che diventano molto probabili i casi in cui un tal medico si vede arrivare addosso un rinvio a giudizio. Credetemi, nella mia funzione di Presidente della Sezione penale e quindi del Collegio giudicante, ho costatato casi in cui dopo una prima consulenza favorevole all’imputato, il Pubblico Ministero l’aveva fatta rinnovare da un altro consulente, ed ottenutane una sfavorevole all’imputato con quella è andato avanti nel chiedere il rinvio a giudizio e la condanna nel dibattimento. Il Giudice allora deve nominare un suo perito (questa volta si chiama “Perito”), che è persona certamente più serena, meno condizionata, del consulente del P.M., perché il consulente del P.M. viene spesso condizionato dalla foga accusatoria che hanno taluni P.M., i quali sono spesso gli stessi che fanno partire avvisi di garanzia (quanto mai dannosi ad un medico) senza usare neppure l’accorgimento di farli pervenire riservatamente al destinatario. Suggestionato da tal foga accusatoria, il consulente del P.M. può lasciarsi prendere la mano dalla volontà di seguire il gradimento di chi gli ha conferito l’incarico. Non così il perito che sta davanti a un Giudice, che istituzionalmente, ancor più con il nuovo art. 111 della Costituzione, è al centro tra le Parti, è equidistante dal Pubblico Ministero e dalla Difesa, il che fa sì che anche il perito si sente investito di una funzione giudicante e si lascia guidare dall’equilibrio, libero da propensioni per l’accusa o per la difesa, lontano da un P.M. a volte indirizzato anche per sua indole o per immaturità verso la ricerca di una responsabilità a ogni costo. Peraltro, voi avete a che fare con una materia che è delicata, in quanto c’è quasi sempre il morto e state pur certi che quando c’è un morto tutti dovrebbero andarci cauti, dico nel processo, approfondire, ponderate al massimo perché ci sono le famiglie, c’è la Parte Civile. Ecco, prima di cominciare a parlarvi della responsabilità per colpa medica, tra me e me pensavo che questo era un convegno diverso da quelli in cui ho conferito su reati di omicidi, rapine, corruzione ecc. e che vi avrei dovuto dire che simili processi sono del tutto particolari, perché effettivamente sono gravosi e creano un’atmosfera pesante, avvertendosi che non è tanto in gioco la pena o la responsabilità verso la parte civile, ma la reputazione di un professionista che esercita il più delicato dei mestieri.

Con il mio intervento, da un lato ho inteso rassicurare la Classe Medica nel momento in cui ho sottolineato l’esigenza che tutti, pubblici ministeri, consulenti medico-legali e giudici, si approccino con prudenza alla realtà complessiva dei fatti, alle norme costituzionali, ordinarie e alla sensibilità sociale, dall’altro ho richiamato l’altra esigenza di un recupero della cultura professionale del medico e quindi dell’autorità della sua scienza, che va senz’altro sottolineata.

Desidero salutarvi con l’affermazione che quella del Medico è la più alta delle professioni, in forza del principio di tutela della vita e della salute, e con l’auspicio che di questo delicato ed altissimo compito tengano conto tutti coloro che sono chiamati ad inquisirli o a giudicarli. Grazie.

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