La Responsabilità dei Biologi
Avellino
13–2-2004 (trascrizione di una conferenza)
Presidente
IANNARONE
Un
saluto a tutti e un ringraziamento agli organizzatori di questo incontro. La
mia sarà una parola diversa da quella dei precedenti relatori, in quanto io
sono un Giudice, presiedo attualmente la Sezione penale del Tribunale di
Avellino. Vi illustrerò, perciò, non gli aspetti tecnici, ampiamente esposti da
chi mi ha preceduto, ma gli aspetti giuridici nel campo in cui operate voi
biologi, non per spaventarvi, ma, anzi, con l’intento di rassicurarvi, pur
avendo il dovere di dirvi come noi giudici valutiamo la colpa e le
responsabilità quando il lavoro dei laboratori non è stato corretto, e quali
conseguenze scaturiscono dal danno che un paziente abbia subito a causa di un
errore nelle analisi di un laboratorio.
Questo
è soprattutto l’aspetto che vi volevo illustrare, che considereremo come colpa medico-biologica. Non posso dire Colpa Biologica, perché creerei
confusione con termini di significato diverso, come danno biologico. La giurisprudenza usa dire Colpa Medica, ma per noi oggi significherà la colpa che è
ravvisabile in tutto il campo della sanità, perché voi appartenete a questo
campo, anche se ne siete un aspetto intermedio, con il medico da un lato e il
paziente dall’altro, per cui il Biologo sta al centro, è una cinghia di
trasmissione e di informazioni. Chiamiamolo pure così, ma una cinghia
qualificata, di un’informazione spesso fondamentale, se non decisiva, per
pervenire a diagnosi esatte. La colpa deve essere riguardata da noi Giudici
sotto i profili generici della imprudenza, della negligenza, della imperizia,
oppure sotto quelli più specifici della inosservanza di leggi, appunto quelle
sulla sicurezza. Quando viene violata una legge o quando, senza una precisa
violazione, il biologo dirigente del laboratorio o un suo coadiutore o collaboratore
incorrono in imprudenza, imperizia, o negligenza, e da tale colpa deriva un
evento dannoso, essi ne rispondono. Possono rispondere verso coloro che appartengono
al laboratorio o che comunque lo frequentano, o verso l’esterno, quando questa
equipe biologica dà un responso errato su un’analisi che fuorvii l’attività del
medico. Potrebbe, accertato rigorosamente un nesso di causalità tra l’errore
nell’analisi e il danno del paziente, portare a una responsabilità del biologo
per omicidio colposo, per esempio per avere fornito ai medici curanti risultati
del laboratorio non corrispondenti alla vera condizione di salute del paziente.
La
Giurisprudenza, in tema di colpa, si mantiene su linee rigorose, specialmente quando
si tratta di colpa per imperizia, il
che vale a stimolare l’aggiornamento tecnologico, dovendosi evitare di dire “ma una volta si faceva bene così”. Bisogna
invece essere sempre al passo coi tempi, specialmente nel vostro campo, in cui
i progressi tecnologici sono stati più rapidi. E allora che cosa voglio dire? Quindi
la Cassazione applica una valutazione più rigorosa di fronte all’imperizia,
cioè tende a ravvisare senz’altro la colpa quando, accertato l’evento dannoso,
lesione o omicidio colposo – facciamo proprio un esempio concreto – si venga a
stabilire che un’analisi errata non ha evidenziato una malattia del paziente e
che questo errore, accertato rigorosamente il nesso causale tra l’azione inesperta
del biologo e la morte del paziente, ha determinato quest’ultima. In verità,
oggi è accentuato il valore delle Scienze, nella conoscenza delle quali si
richiede a tutti di essere molto bravi, non usando indulgenza verso chi ha
commesso un errore per ignoranza della sua materia professionale.
Invece si affrontano con non eccessivo rigore, ma anzi con una certa comprensione, i casi in cui la colpa sia derivata a monte da negligenza o da imprudenza. Queste sono gradi di colpa media, cioè vengono valutate con criteri medi, tenendosi conto che come l’arte medica anche l’arte del Biologo, ossia la ricerca, lo scandaglio nel corpo umano, che molto tempo fa veniva assomigliato ad una bottiglia piena di inchiostro, un mestiere indubbiamente molto difficile, tanto che io ritengo più giusto che la responsabilità sorga, come lo è per noi Magistrati, nel caso di colpa grave. Noi facciamo la diagnosi delle patologie sociali, voi contribuite, invece, alla formulazione delle diagnosi delle patologie organiche. Tra il Medico e il Giudice, ci sono molte similitudini, tanto che talvolta mi domando auto-criticamente perché io debba rispondere soltanto per colpa grave mentre nel campo della Medicina si risponde anche per colpa media o lieve. Ci si deve augurare una riforma in materia che sia ben chiara, per una valutazione più prudente dei vostri errori professionali da parte dei giudici. Vi posso dire che già un bel gruppetto di sentenze della Suprema Corte hanno affermato, pur nell’ambito di molte altre pronunce più rigorose, che l’accertamento della colpa medica deve comunque essere condotto con larghezza e comprensione.
Volevo
accennare, nell’ambito del laboratorio, a qualcosa che vi può interessare. Mi
domando: se da un laboratorio esce un’analisi sbagliata, come si individua il
responsabile? È il Dirigente, o il Coadiutore o il Collaboratore che ha
materialmente operato? La giurisprudenza si è interessata delle responsabilità
in tema di equipe chirurgiche, e per rispondere al quesito bisogna ricorrere
all’analogia. Il fondamentale criterio è che non si è delle monadi nel
laboratorio, così come non si è delle monadi, cioè dei professionisti che
lavorano ognuno per proprio conto, nell’equipe medico-chirurgica, ma si è l’uno
collegato agli altri, cosicché ognuno ha il dovere di vigilare sull’attività
degli altri, senza differenza tra superiore e inferiore.
Questo
è molto importante perché deriva dal concetto di cooperazione colposa. Siamo
sempre nel tema della colpa, sia ben chiaro che il dolo qui non c’entra, io
intendo colpa in senso giuridico, cioè di un errore che cagiona un evento
dannoso non voluto. Allora la cooperazione nella colpa consiste nel venir meno
al dovere, da parte di chi lavora in equipe, di vigilare, nel Laboratorio,
sull’attività dell’altro. Certamente il più esposto alla responsabilità è il
Dirigente, però ciò non toglie che anche coloro che con lui collaborano debbono
vigilare su eventuali errori. Per esempio se è sorto qualche dubbio, far
ripetere l’operazione in maniera da accertare quale è l’esatto responso
tecnico.
Questa
è la cooperazione, conosciuta dall’articolo 113 del Codice Penale. Significa
che si compiono insieme delle azioni imprudenti perché uno non vigila
sull’attività dell’altro; quasi in tutti casi sono costituite da omissioni, omessa vigilanza, omessa coesione. Questi concetti principali sono sicuramente i
capisaldi dell’attività di un giudice, quando abbiamo a che fare con la colpa medica.
Un
altro aspetto che desidero illustrarvi è quello processuale. Per accertare la
colpa dei Biologi rispetto alla lesione personale o alla morte di un paziente, la
Magistratura deve necessariamente avvalersi dell’opera di un consulente, il
consulente tecnico del Pubblico Ministero o il perito del Giudicante. Per la
verità la consulenza è un argomento molto discusso nel nostro Diritto, sia in
campo civile che penale, perché non si sa come inquadrarla, se tra i mezzi di
prova o meno. È come un testimone o come una prova oggettiva? Noi Giudici
distinguiamo le prove specifiche, storiche e sono i testimoni, i quali
riferiscono ad esempio: “Io quel giorno
ho visto quell’individuo che dava una coltellata a Caio”, questa è la prova
che preferisco definire storica perché racconta un fatto specifico. Poi abbiamo
la prova generica. Se in un luogo vengono rinvenute in sede di un’ispezione
giudiziale delle macchie di sangue a terra, si parla di prova generica o
oggettiva. Per stabilire il nesso di causalità tra il colpo inferto da Tizio a
Caio e la morte di Caio, ci vuole un consulente, questo nel campo strettamente
medico. Per stabilire il nesso di causalità tra un errore nelle analisi di un
laboratorio e l’aggravamento della malattia di un paziente, o addirittura il
suo decesso, ci vuole un consulente e a fianco al consulente c’è da esprimere
l’auspicio che si tratti di un consulente sereno, obiettivo, perché la
consulenza, vi dicevo, non appartiene né ai mezzi di prova storica né a quella
oggettiva. L’opera del consulente è di mettere in relazione due fatti:
l’analisi errata compiuta nel Laboratorio e la lesione o morte del paziente che
si è sottoposto all’analisi clinica. Facciamo il caso, io sono un profano, di
una iperglicemia non accertata per errore dell’analista e della morte del
paziente sottoposto ad operazione chirurgica e deceduto per il suo stato
iperglicemico ignorato dai chirurghi a causa dell’errore nell’analisi. Allora noi
dobbiamo nominare un consulente perché stabilisca la relazione, il nesso
causale, tra la morte o la lesione patita dal paziente e l’errore del Laboratorio
di analisi, mi sono spiegato? La consulenza esprime quindi sempre un giudizio e
il problema in pratica è, perdonatemi l’espressione, che molte volte il
consulente con questo giudizio tende a sostituirsi a quello del Giudice, a
quello del P.M. Perciò io esprimo l’auspicio di un P.M. sereno, perché qualche volta
avviene che taluni pubblici ministeri, se il consulente non dà un responso
idoneo per sostenere un’accusa di responsabilità, fanno ripetere la consulenza.
Il
grosso pericolo che c’è oggi (esisteva anche in passato ma un po’ meno) è che
la magistratura inquirente si contrappone con eccessivo rigore a un’attività
più attenta e più penetrante dei difensori, che entrano nel processo fin dalle
fasi iniziali e costringono il P.M. ad essere più agguerrito, e il pericolo
gravissimo è che alcuni consulenti pensano che il P.M., gli affiderà un’altra
perizia se saranno severi. Per fortuna non sono casi diffusi, ma esistono e
preoccupano.
Ora
ritengo opportuno parlarvi degli articoli 359 e 360 del Codice di procedura
penale. Sono numeri che stanno a distanza abissale tra loro, benché vicini. Perché?
Il 359 consente al Pubblico Ministero di compiere gli accertamenti tecnici senza
avvisare il difensore. Potrei fare l’esempio di un caso che mi è capitato, quello
di una nefropatia cronica non rilevata dal Laboratorio di analisi e di un
paziente che è deceduto dopo un’operazione chirurgica. Convocato il consulente
tecnico per l’autopsia del cadavere, il Pubblico Ministero sta a un bivio: se
lo considera un accertamento tecnico che cade – badate bene, questa è una
sottigliezza giuridica processuale, ma ha il suo senso logico – su cose o
persone non soggette a modificazioni nel tempo, può procedere alle operazioni
di consulenza senza spedire avviso di garanzia ai presunti responsabili con
invito a nominare un difensore da far assistere alle dette operazioni. Quando
invece la situazione di cose o persone su cui cadrà l’indagine del consulente
tecnico è soggetta a modifiche (art. 360) il Pubblico Ministero ha l'obbligo di
dare avviso a chi può essere il responsabile. Questo è l’avviso di garanzia di
cui molti si lamentano, ma avrete capito che esso dà la possibilità al
potenziale imputato di difendersi. Se facessi il Pubblico Ministero, avviserei
sempre il possibile responsabile, farei sempre partecipare alle operazioni
tecniche l’avvocato del biologo o dei suoi collaboratori e coadiutori. Anche
perché l’avvocato di solito nomina un suo consulente com’è sua facoltà
processuale ed allora avrei due responsi e mi orienterei meglio nel confrontarli.
Le pronunce della Cassazione in materia sono consolidate, cioè dettano sempre
lo stesso principio ed allora sarebbe rischioso discostarsene. Cosa voglio
dire? Che quando si fa una consulenza e si osserva l’art.360, si è al riparo
dalle nullità del giudizio, che potrebbero non giovare al biologo
imputato.
Un
tempo esisteva la regola iudex est peritus
peritorum. Qualche sentenza ora dice: “Il Giudice non è il perito dei
periti, ma deve poggiare sempre il suo convincimento su un giudizio tecnico”.
Oggi è il Tempo delle Scienze, il Giudice deve nominare un terzo perito il
quale dica quale giudizio tecnico è esatto. Ma così non si finisce mai, perché anche
il terzo perito può essere oggetto di valutazione. Torno al concetto già
espresso che la consulenza non è un mezzo di prova, non è né la macchia di
sangue, né la testimonianza dell’accoltellamento ma resta sempre un giudizio,
ed allora se ne potrebbero esprimere all’infinito, l’uno sull’altro. Qualche
altra sentenza ha moderato dicendo: “Badate, se l’imputato, l’indagato deposita
la consulenza di un suo tecnico per difendersi, il Giudice non può usare della
sua scienza privata. Scienza Privata sapete che significa? Ad esempio, io giudice
chiamo un amico che sia un bravo Analista Biologo, e gli chiedo: “Senti, io ho
questo caso, tu che ne pensi”? Lui mi spiega e poi mi suggerisce di consultare
quel tale Trattato di scienze biologiche. Io allora contrappongo le conoscenze
da me acquisite in questa forma “privata” (che sarebbe la mia scienza privata) e
dico: “Io Giudice, peritus peritorum, ho consultato questi libri, questi
trattati, ed essi affermano una tesi diversa da quella che sostiene il perito
dell’imputato, lo controbatto e semmai arrivo a ipotesi di condanna”. Questo la
Giurisprudenza me lo vieta, affermando che da giudice devo disporre un’altra
perizia e, ottenuto un altro responso tecnico, posso assumere il ruolo, molto
difficile, di peritus peritorum.
Quindi io posso entrare solo quando, come si usa dire, ho sentito le due
campane, quella che giova all’accusa e quella che giova alla difesa e pormi in
posizione critica rispetto ad entrambe.
Io
questo aspetto della consulenza ve l’ho illustrato perché è l’aspetto più
delicato, in quanto il pericolo sta nell’uomo-consulente tecnico. Non c’è
processo in cui il P.M. non nomini un consulente tecnico e non c’è processo in
cui nel vostro campo non vi sia una contrapposizione scientifica che chiama più
il Giudice che il P.M. al dovere di entrare in ogni branca dello scibile medico
per poter valutare i responsi dei periti.
Intervento
Dottor
Iannarone, una semplicissima domanda. Non mi è molto chiaro il concetto di
mancata vigilanza, potrei avere qualche parolina in più su questo discorso
della responsabilità per mancata vigilanza. Grazie.
Presidente IANNARONE
Vi
ho fatto una premessa sul concetto di cooperazione colposa, in effetti si può
essere l’unico responsabile, l’unica persona, il Biologo, che ha compiuto
un’azione non prudente o inesperta o negligente, ma può derivare il responso da
una mancata vigilanza da parte di un coadiutore sull’altro o del biologo
primario sull’opera dei collaboratori, questo significa aver cooperato nella
colpa.
Intervento
E
se, dott. Iannarone, io come coadiutrice eseguo l’analisi, porto il risultato
alla firma del Dirigente del Laboratorio e lui firma, dovrei essere esente da
colpa?
Presidente IANNARONE
Però
il Giudice vorrà sapere quella certificazione come è nata. a che cosa nasce. Siccome
vi ho detto prima che i principi sulla responsabilità cumulativa dei componenti
di un laboratorio di analisi li traevo per analogia da quello che dice la
giurisprudenza in tema di equipe chirurgica, come in quel caso c’è l’onere
della vigilanza in ciascuno di voi. Non potete effettuare un’analisi
superficialmente o incompetentemente e poi dire: “Tanto firma l’Analista, a me che cosa importa”. “Io faccio girare quel coso...”, voi nei
Laboratori avete quegli affari che girano, io le ho visti quando mi son fatto
controllare il colesterolo. Non potete sempre dire: “ho fatto girare quella macchinetta, ho preso il risultato e l’ho
portato alla firma dell’Analista e sto a posto”.
Vi
faccio un esempio concreto in cui, nel modo che vi ho detto, è uscita dal
Laboratorio un’analisi errata a firma del Biologo dirigente. Io P.M. all’inizio
dell’indagine sequestro il Laboratorio e a seguito di una perquisizione
rinvengo la lettera dell’analista, diretta al Coadiutore, su cui è scritto: “Bisogna
comprare, con assoluta urgenza la macchinetta X, perché è vecchia, è tanto deteriorata
che mi ha dato dei risultati sbagliati ”. L’analisi errata risulta da
accertamento tecnico disposto dal P.M. eseguita con quel macchinario vecchio
dal predetto coadiutore un mese dopo che aveva ricevuto l’ordine dal Dirigente.
Che valore ha dire “Il Direttore del laboratorio ha firmato”?. Quando si difenderà
il biologo dirigente dirà al P.M.: “Guardate che io ho scritto una lettera al Coadiutore,
prescrivendogli la sostituzione del macchinario deteriorato, che ormai dava
risultati errati di analisi”, il P.M. gli risponderà chiedendo: “E voi avete
vigilato, avete controllato se era stato acquistato il nuovo macchinario”, lui,
il Biologo, non avrà che dire e al processo penale ci andranno tutti e due, a
braccetto, per sostenersi, come quando si cammina su terreno accidentato e si
finisce per cadere.
Mi
sembra di aver chiarito, con questo esempio pratico, anche il concetto di
vigilanza. Tuttavia è opportuno porre in evidenza che coadiutore e biologo
dirigente non stanno sullo stesso piano con riguardo alle conseguenze delle
loro colpe. Ritengo che un giudice equilibrato nel condannare debba graduare le
pene e, per darvi un’idea, farà bene ad irrogare al Coadiutore una pena quanto
meno quintupla di quella posta a carico del biologo dirigente. Badate bene che
quella del coadiutore è colpa qualificata perché non ha osservato una
prescrizione (parificabile alla disciplina o all’ordine) datagli dal Dirigente,
mentre quest’ultimo è incorso in colpa generica per omessa vigilanza,
inquadrabile nella negligenza.
Quando
si compie un’operazione insieme, bisogna essere tutti attenti, l’unico esempio
che la Giurisprudenza differenzia dal principio comune è quello dell’Anestesista
rispetto al Chirurgo. C’è un dovere generale, quando si fa una cosa insieme, di
farla bene. Io pure che sono venuto qua a fare la conferenza, mi sono informato
su cosa era stato detto prima del mio arrivo e ciò per informarvi di più e far
riuscire al meglio la conferenza.
Intervento
Dott.
Iannarone io le domando: l’avere un sistema di gestione per la Sicurezza per
l’Ambiente, l’essere sempre attento alle attrezzature, fare azioni di
prevenzione, adeguarmi al progresso, può essere utile per dimostrare di aver
fatto tutto il possibile e di essere esente da ogni ipotesi di responsabilità;
sarebbe accettabile dalla giurisprudenza una posizione di questo tipo?
Presidente IANNARONE
La
domanda indubbiamente non è facile. Io prima vi ho parlato dei quattro aspetti
della colpa, tre raggruppati sotto la colpa generica, e sarebbero: imprudenza,
negligenza e imperizia, il quarto costituito da inosservanza di Leggi, Normative,
Regolamenti e Discipline, che noi qualifichiamo colpa qualificata. Allora,
l’aver fatto tutto il possibile per adeguarsi a ogni normativa, come lei dice,
potrebbe soddisfare la sua difesa sotto il profilo della suddetta colpa
qualificata, ma non sotto il profilo della colpa generica. Giammai potrei
esimermi da un’accusa di essere stato imprudente, negligente, imperito, poiché
“errare humanum est”. Buona parte
della mia professionalità appartiene al mio patrimonio culturale. Nessuno di
noi, di voi, né io Giudice possiamo dimostrare di aver fatto tutto il possibile
per essere un Giudice perfetto o un Medico perfetto o un Biologo perfetto,
perché c’è sempre da imparare, da apprendere e da approfondire e ci sarà pure
quell’azione, diciamo, imprudente, negligente o inesperta, soprattutto,
inesperta che uno può aver compiuto perché semmai quel giorno non ha ricordato quella
cognizione scientifica e non l’ha adottata, semmai perché per stanchezza la sua
attenzione non era desta. Questa è la risposta che sento di doverle dare.
Intervento
Presidente, lei nella sua relazione, ha toccato un aspetto
che noi dell’Arpac sentiamo molto, quello dei consulenti.
Però
al di là di questo io volevo fare una domanda di interesse generale: parlando
di colpa grave, per la quale soltanto sono responsabili i giudici, il termine grave contenuto in una norma è lasciato
alla libera interpretazione del Magistrato giudicante?
Presidente
IANNARONE
Dell’altro
Magistrato giudicante. Purtroppo è
così, ci accusano di Giustizia domestica perché noi giudichiamo i colleghi, ma
noi però non possiamo arrivare fino al punto che i Giudici vengono giudicati da
un organo diverso dalla Magistratura, perché altrimenti cadrebbe la nostra indipendenza.
Non possiamo neppure accettare di essere giudicati dalla Corte Costituzionale,
perché è composta da elementi politici, eletti dal Parlamento o scelti dal Capo
dello Stato. Metteremmo in gioco l’equilibrio tra poteri dello Stato.
Grave,
lieve, tenue, sono aggettivi che ci fanno impazzire. Ingegnere, anche se questa
non è la sede giusta, in materia di violenza sessuale la legge invece di dire
nei casi lievi, dice: “nei casi di minore
gravità”, creandoci problemi seri di interpretazione del fatto, in quanto
ne derivano rilevanti conseguenze sul piano della pena da irrogare. Talvolta la
legge non usa un aggettivo solo (ad es. “tenue”) ma dice di speciale tenuità.
Allora,
per giungere ad una conclusione, il massimo dello scandaglio possibile che si è
fatto sulla parola grave. è “Non vedere ciò che tutti gli altri avrebbero
visto”. Si guarda al cosiddetto “quod
plerumque accidit” una parola latina che significa ciò che di solito accade, sono i brocardi della Scuola di Bologna
che noi prendiamo da Irnerio (1100), che istituì l’università di Bologna e rivalutò
lo studio del diritto, utilizzando naturalmente la lingua latina, la più idonea
ad esprimere i concetti giuridici. Cioè si considera astrattamente il Biologo
di medio valore professionale e si perviene a questa affermazione: “Tutti i medi Biologi, avrebbero visto e tu
non hai visto...”, “Tutti i medi Coadiutori
avrebbero cambiato quella macchina vecchia e tu non l’hai cambiata”. Quello
è un esempio di colpa grave. Se la lettera era chiara ed impartiva precise e
motivate prescrizioni, richiamando l’attenzione su precedenti analisi errate,
allora la colpa è gravissima, se capitasse a me come giudice non ci sarebbero
santi da pregare….
Applausi da parte di tutti i presenti
in Sala.
Nessun commento:
Posta un commento