martedì 30 agosto 2016

SAGGIO (La poesia dal Rinascimento al Barocco)


LA  POESIA  TRA  CINQUECENTO  E  SEICENTO

Il quadro storico dell’Europa e dell’Italia



La critica situazione dell’impero germanico alla fine del XVI secolo, diviso dalle questioni religiose (la Riforma luterana: Lutero muore nel 1546), costituzionali, politiche ed economiche, provocò al principio del secolo successivo un conflitto europeo che ebbe nella Guerra dei Trent’anni (1618-1648: anno della pace di Westfalia) il suo epilogo più significativo. Alla fine del conflitto si delineò una nuova divisione del potere in Europa e si costituì una nuova cornice giuridica di relazioni internazionali nell’ambito della quale s’impose l’idea dell’uguaglianza politica di tutte le nazioni, in opposizione all’antica concezione dell’universalità dell’impero germanico. La Francia e la Svezia, gli stati garanti di questo nuovo ordine, divennero le nuove potenze egemoniche del continente, a discapito degli Asburgo.



Inquadramenti della poesia nel periodo storico ed artistico in genere



Ogni arte non può non risentire del clima culturale, in senso ampio, in cui vive e si manifesta e, più specificamente, del momento storico, filosofico e scientifico, delle evoluzioni delle condizioni economiche e sociali, dell’influenza esercitata dai grandi autori delle epoche precedenti.

Il momento importantissimo di transizione dell’arte italiana, che trova il suo sbocco nel barocco, vive una temperie che risente innanzitutto di eventi storici drammatici, primo fra tutti la frantumazione dell’equilibrio politico e religioso raggiunto da Carlo V, e poi la disastrosa Guerra dei trent’anni dalla quale tutta l’Europa fu sconvolta, e poi ancora le grandi scoperte scientifiche, note, in una sola parola, come la rivoluzione copernicana.

Sono questi gli eventi che segnarono il passaggio dell’atteggiamento dell’uomo rinascimentale, sereno nella rivisitazione e nella contemplazione dei fasti del mondo classico e delle immagini profondamente religiose che uscivano dal pennello di un Leonardo, di un Michelangelo, di un Raffaello, ed invece tormentato nella seconda metà del secolo XVI, nel quale si andava man mano accentuando la profonda trasformazione avvenuta nella società con la prevalenza, ad un secolo dalla scoperta dell’America, delle forze produttive borghesi, mercantili, imprenditoriali su quelle feudali. La crisi del Feudalesimo si avvertì particolarmente nell’Italia Meridionale, dove molti Signori ne soffrirono e dove quella del grande madrigalista irpino Carlo Gesualdo costituì una delle pochissime famiglie che, con parentele altolocate come il Cardinale Carlo Borromeo, con indovinate operazioni di acquisti all’asta pubblica e con studiati matrimoni di convenienza, riuscirono a salvarsi dal pauroso declino e dalle gravissime situazioni di indebitamento in cui vennero a trovarsi tanti altri feudatari.

Nel campo filosofico l’uomo aveva stabilito, attraverso l’umanesimo, l’antropocentrismo e l’individualismo, un nuovo rapporto con Dio, che non era l’ateismo, ma neppure la prostrazione che discendeva da un sentimento fideistico sottomesso, tipico del Medioevo (“State contenti umana gente al quia/ ché se possuto aveste veder tutto,/ mestier non era parturir Maria”, scriveva padre Dante circa tre secoli prima). Nel suo anelito verso l’Infinito, che le scienze gli avevano fatto intravvedere, l’uomo del tardo Rinascimento si rapporta in modo diverso con la divinità, poiché sente il bisogno di una comunione più profonda con la sapienza infinita rappresentata da Dio. Significativo l’ “eroico furore” di Giordano Bruno, tra i più grandi filosofi del Meridione, anche se è vero che, specialmente in Italia, si ebbero a subire le costrizioni ideologiche della Controriforma e con essa un freno profondo all’esaltazione della libertà di pensiero, dei suoi valori e della sua creatività.

Nell’arte, le Corti rinascimentali non vantavano e non si accontentavano più di un circolo di intellettuali, alla maniera di quelle dell’Alto Medioevo, continuatori del mecenatismo della Roma dei Cesari, ma si circondavano di artisti di ogni genere, pittori, scultori, musici (si pensi alla corte degli Estensi, dove approdarono sul finire del ‘500 sia Carlo Gesualdo che Torquato Tasso), e soprattutto di architetti affinché si accrescesse la magnificenza delle città, fra le quali bisogna porre al primo posto, per l’influenza che ebbe sull’opera di tantissimi artisti, la Curia pontificia romana. Nelle corti rinascimentali il letterato doveva ormai dividere il suo spazio con gli artisti, poiché si cercava l’eleganza e la maestosità. Nei primi decenni del ‘600 si tendeva decisamente a stupire, con uno slancio delle sculture e delle architetture verso lo spazio esterno (come nel Gian Lorenzo Bernini del superbo Colonnato di S. Pietro o del Baldacchino che vi troneggia all’interno) o con l’isolamento delle figure, fissate ciascuna dalla intensità di fasci luminosi nel momento dei loro drammi esistenziali (come in Caravaggio).

Il poeta aderisce alla vita, perché quello della poesia è un tema aperto all’Infinito ed infinite sono le vie che permettono all’uomo di avvicinarsi a questa ferma situazione dello spirito in un determinato periodo della sua storia. Il poeta non rinnega mai la vita anche se attraverso la disperazione riconosce l’aridità e la dispersione del cuore degli uomini, perché gli uomini chiedono che il poeta canti la vita e la verità, la gioia se gioia, il dolore se dolore, il delitto, la psicosi, la miseria, l’amore. Gli uomini non sanno nulla della vita e della verità a loro contemporanee e si vogliono perciò confrontare con l’animo dei poeti, il più sensibile e capace di capire (è la poesia in ultima analisi la più alta delle arti, che non copia la realtà sensibile ma attinge alle idee universali e la intuisce: Platone), per sapere se quella che vivono è vita, se quella in cui credono è verità, e se il poeta ha le loro stesse visioni della vita e della verità (così Quasimodo).

E così, come per i poeti del “Dolce Stil Novo” il tema principale è l’amore e l’idealizzazione della donna che per sua natura più di tutti lo rappresenta, giacché quel secolo, venuto dopo Francesco d’Assisi, aveva ritrovato la gioia di vivere nella visione di un mondo in cui tutto e tutti erano Creature di Dio; come i poeti del Rinascimento esaltano l’uomo e la sua attività, ed anche la natura, che non vedono come luogo di peccato ma come luogo dell’agire e della realizzazione di tutte le potenzialità umane; così i poeti dell’epoca barocca, superata la fase del Manierismo, povera d’ispirazione perché dominata dalle opere dei grandi predecessori (Francesco Petrarca, soprattutto, con riguardo alla poesia d’amore in generale ed al madrigale in particolare), operano un ritorno alla teologia e alla scienza, innovano il canone estetico del rappresentabile, facendo divenire descrivibile, talvolta con un vero e proprio oltraggio al bello, anche il brutto ed il deforme, ed annoverano infine anche il merito di aver avuto per primi il senso di una “letteratura nazionale”. Alle grandi capitali dell’Umanesimo (Venezia e Firenze, Roma e Napoli), nuovi centri culturali si affiancano e si distinguono per vivacità e continuità di voci poetiche.

Il secolo cominciato con l’Accademia della scienza (i Lincei di Federico Cesi, Roma, 1603), si chiuderà con la nascita dell’Accademia d’Arcadia, il cui fondatore, Giovan Mario Crescimbeni, pubblicherà quella “Istoria della volgar poesia”, 1698, che è il primo documento che rivela anche la consapevolezza della varietà della letteratura italiana.              

                                                                                                     Gennaro Iannarone

Il Cinquecento (II metà del secolo)



Pietro Bembo



E’ il poeta-cardine da cui bisogna partire per comprendere il “Manierismo”. Opere principali sono “Prose della volgar lingua” (1525) e “Rime” (1530).

“Massimo artefice del classicismo volgare (funzione normativa della poesia del Bembo) e, nel contempo, depositario provocatore della combinatoria manierista che tenderà ad incrinarne la tenuta”. ”Egli fu tuttavia il sistematore di quell’ “Umanesimo volgare” che era lo sbocco naturale e necessario del Rinascimento”

(pagg. 709-710) : “Quando, forse, per dar loco….”



Baldassarre Castiglione



Opere principali sono “Il libro del cortegiano” e “Tirsi”

“Il tratto più caratteristico della lirica del Castiglione è la tendenza ad accentuare gli aspetti più grandiosi, più densi di “gravitas” del modello petrarchesco”

 (pag. 723: “Superbi colli e voi, sacre ruine,…….)”



Petrarchismo e Manierismo



Premesso che la lirica rappresenta la fase di transizione nell’arco temporale che congiunge la seconda metà del cinquecento ai primi decenni del seicento, e che segna il passaggio dal Rinascimento al Barocco attraverso il Manierismo, “occorre guardare al Bembo come l’antesignano dell’ortodossia e come suggeritore di possibili trasgressioni al suo interno (disimmetrie ritmico-sintattiche e logico-strofiche), onde evitare ogni rigidità storiografica nel contrapporre al petrarchismo il manierismo che ne è invece una riformulazione radicale, ma in termini già previsti, tutto sommato, dal codice”. In questa fase di transizione gli impulsi di Venezia e di Napoli sono attenuati da Firenze.

Poeti della transizione: Giovanni della Casa, Luigi Groto (749), Celio Magno, Bernardo Tasso, Bernardo Cappello, Gaspara Stampa (747), Galeazzo di Tarsia, Giovan Battista Strozzi, Chiara Matraini (779), Michelangelo Buonarroti, Francesco Maria Molza, Domenico Venier (745) (Venezia), Ascanio Pignatelli, Luigi Tansillo, Ludovico Paterno, Bernardino Rota, Angelo Di Costanzo, Ferrante Carafa (Napoli), Francesco Beccuti detto Il Coppetta.



Rime spirituali

Umanesimo e classicismo hanno tenuto sempre “fuori canone” gli scrittori religiosi, sulla scia di una lettura desanctisiana del nostro Cinquecento che, per un eccesso di vigore ermeneutico, cioè interpretativo dello spirito del secolo, aveva lasciato fatalmente in ombra tale area tematica, limitando l’indagine sul punto soltanto ai secoli XIII e XIV.

Determinante è stato anche il dominio del “codice petrarchesco”, ossia della lirica amorosa, rispetto alla quale un primo tentativo di lettura fu compiuto da Girolamo Malipiero (pag. 802) con il suo “Petrarca spirituale”(1536), cui seguirono i “Salmi” e  “La passione di Giesù” di Pietro l’Aretino, che si cimentò, stranamente, in una produzione di carattere sacro.

Il momento fondativo della lirica spirituale è tuttavia costituito dalle Rime spirituali (pag. 806) di Vittoria Colonna (1546), che influenzerà produzioni minori dello stesso carattere, nel quadro storico della Riforma e della Controriforma, da parte di personalità dottrinalmente irrequiete. Certamente non si è più a contatto con le certezze ed il misticismo del Trecento ed appare lontanissimo uno Jacopone da Todi. Interessante è sapere che, in questo clima, abbiamo un Michelangelo Buonarroti (812), che faceva parte del cosiddetto circolo di Viterbo, composto da elementi di spicco dell’evangelismo, dove nel 1538 aveva avuto modo di conoscere Vittoria Colonna.

Tuttavia, come conseguenza immediata del Concilio di Trento, si ha che a partire dalla fine degli anni 50 del secolo XVI avviene una trasformazione profonda ed un brusco cambiamento, riconducibili ad un enorme apparato di controllo, di repressione e di propaganda, con la comparsa di una fitta rete di figure come il confessore o la guida spirituale, e con il fenomeno dei libri messi all’Indice e dei processi penali intentati contro scrittori e poeti.

Pur sottolineando l’immediatezza espressiva e la trasparenza del dettato di Gabriele Fiamma (824), che attenua nel manierismo anche l’asprezza dell’esperienza mistica, o la sublimazione del codice lirico in un sentimento di perdita irreparabile che in Celio Magno (831), uno dei più significativi esponenti, è solo in parte compensata dalla speranza del perdono divino, in generale comunque si assiste, nella seconda metà del secolo, ad un ripiegamento interiore della lirica spirituale, all’accentuazione della dimensione del “patimento” individuale, che finisce per essere il necessario “esercizio spirituale” per poter ricostruire dentro di sé i “luoghi” fondamentali dell’itinerario devozionale.



TORQUATO TASSO

Occupa un posto a sé nella poesia dell’ultima parte del secolo poiché con la comparsa delle sue Rime avviene, più di due secoli dopo il Petrarca, la rifondazione effettiva della nostra tradizione lirica.

Poiché, tuttavia, a Torquato Tasso sarà dedicato dalla Fondazione più di un incontro culturale da parte di altri relatori, noi non ci soffermeremo in questa sede se non per richiamare un madrigale che Carlo Gesualdo musicò nel Libro secondo della sua opera musicale, nel periodo felice dei suoi rapporti con il poeta (pag. 855). Completando quel che dicemmo nell’incontro del 7 dicembre sulla poetica di Carlo Gesualdo e nel tracciare le differenze fra i due nell’atteggiamento di fronte alle pene amorose, trasformate assurdamente in “gioia del soffrire” in Carlo Gesualdo, e trascolorate dal dato umano a quello naturale del paesaggio, ma prive della componente gioiosa nel Tasso, vi leggeremo anche “Qual rugiada o qual pianto….(pag. 872)







Il Seicento (I metà del secolo)



Molteplici motivi inducono a considerare il secolo XVII come il periodo in cui muore la vecchia Europa e nasce una nuova identità europea. Sul piano storico non ci possiamo soffermare più di tanto, ma siccome possono ravvisarsi delle analogie con il momento che stiamo attualmente attraversando, è interessante osservare che tra la fine del ‘500 e il ‘600 la presa di coscienza della diversità e molteplicità delle forme di esistenza, di modi di pensare, di produrre ed organizzare la società, derivante dalla conoscenza delle popolazioni americane, asiatiche, africane, finisce per costituire un rafforzamento della coscienza di tutti gli Europei di appartenere ad una parte del mondo che diventa sempre più piccola nel confronto con gli altri continenti, ma nello stesso tempo appare dotata di specificità e di caratteri peculiari, quali la razza e molti fattori culturali, che ne determinano l’identità. Quanto alle analogie cui si accennava possiamo noi, oggi, affermare altrettanto? La nostra Europa attuale, quella dell’euro che fa tanto soffrire le nostre tasche, ci sembra una grande anche se difficile realizzazione, ma non è poi, in verità, che una piccola realtà di un mondo che pare aver acquisito dimensioni galattiche, di fronte al quale, pur nella notevole mescolanza di culture, conviene però racchiuderci in una dimensione etico-cristiana, rispettosa della scienza tecnologica e che non abusi di termini di cui piace riempirci la bocca, come la laicità, senza comprendere appieno dove portano, dato che sembra che portino ad un liberismo incontrollato (piace fare soltanto quello che giova a sé stessi, in una visione narcisistica del senso della vita, priva dei valori fondamentali dell’altruismo, del rispetto e dell’amore per gli altri), privo di punti seri di riferimento, che possono provenire soltanto dalla unità della cultura.

Anche per questi motivi di ordine storico, l’Europa del Seicento vive dunque un momento importante di unificazione culturale (che penso sia anche un effetto della universalità della scienza, che non soffre i limiti delle diversità linguistiche e culturali), soprattutto perché dappertutto si assiste ad una laicizzazione della cultura. Ciò può apparire in contrasto con un altro elemento tipico del secolo, cioè la diffusissima ripresa della spiritualità e di un accentuato fervore religioso. Tuttavia, riconoscendo, tra l’altro, che il Seicento è in realtà un periodo di forti chiaroscuri e di contraddizioni clamorose, i due fenomeni non entrano in conflitto proprio perché la laicizzazione si manifesta soprattutto come “emancipazione” di importanti branche della conoscenza, della ricerca scientifica e filosofica, dell’arte, dalle problematiche religiose e metafisiche, senza che questo vada ad interferire nel campo della fede. Si tratta in particolare del riconoscimento di ambiti diversificati ed autonomi nei quali la personalità umana si realizza compiutamente. Si tenga conto che l’elemento innovativo più rilevante che si manifesta in questo periodo nell’ambito della religiosità e della morale è il ruolo fondamentale che comincia ad essere attribuito all’atteggiamento etico individuale, fortemente interiorizzato; così che è sul piano personale che ciascuno  cerca di risolvere il problema di far convivere ed armonizzare fede e conoscenza, religiosità e ricerca di una verità scientifica o filosofica. Il Seicento è il secolo della rivoluzione scientifica, movimento che  coinvolge i gruppi intellettuali di tutti i paesi che si ritrovano impegnati su di un campo di ricerca comune e procedono mantenendosi in stretto contatto fra loro; è proprio in questo periodo che si gettano le fondamenta di quella comunità scientifica europea che, al di sopra dei confini, delle divisioni religiose, della diversità di costumi e di lingue, comincia ad essere il riferimento costante per chiunque eserciti il proprio ingegno e spenda le proprie energie nella ricerca.

Ma veniamo alla poesia!

La poesia del Seicento parte da uno squadernarsi del mondo nelle “sante meraviglie” della scienza del remoto, tanto nel tempo, come nei sonetti sul Genesi e sulla feracità della natura, quanto nello spazio, poiché, cannocchiale e microscopio, avvicina il macrocosmo al microcosmo, la luna alla lucciola. E’ una “poesia della scienza” che si allarga (si pensi alla serie di sonetti di Girolamo Fontanella: “Al diamante”: “Pietra che luminosa ardi tremante”, “Alla perla”, “Al corallo”, “Al garofano” , “Al muschio”, “All’api”………………………………………..

Come già si è accennato, dopo il primato della lirica petrarchesca un’attenzione nuova a generi e forme recenti e sperimentali caratterizza l’età del Concilio di Trento, che con il suo apparato apologetico rinnova la poesia propriamente teologica, nutre ed autorizza quella mistica (così come influenza l’arte figurativa: Gian Lorenzo Bernini, Caravaggio). Primeggia tuttavia l’intento della meraviglia tipicamente barocca.

Si ha così, con Gabriello Chiabrera, l’obliterazione dell’eredità petrarchesca, pur sottilmente presente attraverso il filtro sfigurante di Torquato Tasso ed il melismo manieristico, perché c’è l’impiego di versi brevissimi e il dilagare di estranee al modello di Pietro Bembo. Il “meraviglioso” non è ancora trasferito al livello delle immagini come in Giovan Battista Marino, ma nell’artificiare poetico della metrica e del ritmo, come nelle Canzonette (pag. 28: Fedeltà d’amore). 

Con Tommaso Campanella il verso filosofico (pag. 49) costituisce il più efficace strumento del pensiero. La sua poetica, che è un ritorno a Dante, come modello di una poesia che attinge all’unica vera sorgente di verità: quella rivelata dal Cristianesimo, vuole assumere il ruolo della “rappresentazione del significato del mondo”. Toccante è la “Lamentevole orazione profetale dal profondo della fossa dove stava incarcerato”, che è composta di otto madrigali (pag. 53: Madrigale I). Si sa che Tommaso Campanella, a causa delle sue visioni politiche e religiose (ricomposizione di una unità politico-religiosa dell’Europa, minacciata dai Turchi, sotto l’egemonia del Papa e della Spagna) fu più volte arrestato e trascorse gran parte della sua vita in carcere, 27 anni, i primi dei quali assunsero, in Napoli, forme mostruose di detenzione e di tortura. Anche in lui si può riguardare un’anima tormentata, ma le retrospezioni della sua poesia (il ritorno a Dante) rivelano momenti di ansia, di vagheggiamento di un ritorno alla natura e nel contempo di esaltazione della grandezza dell’uomo, che fanno pensare al rinascimento, piuttosto che al barocco.

Con Giovan Battista Marino, napoletano, maggiore esponente della poesia del secolo, oggetto allo stesso modo di apologie esaltate e di critiche feroci dirette non solo alla sua poesia ma anche e soprattutto alla sua vita, il progresso degli studi sul Seicento gli riconoscono una cultura eclettica ma superficiale, un gusto finissimo, una curiosità tale da renderlo febbrile ricercatore di novità letterarie e mondane, ciò che lo portò ad allontanarsi da Napoli, dove conobbe tra il 1588 e il 1594 Torquato Tasso e dove compì soltanto la sua prima formazione, per raggiungere poi i centri più all’avanguardia del Nord (da Venezia a Bologna, a Genova, a Torino e poi in Francia), nei quali poté intrecciare i rapporti più utili alla sua vita e ai suoi interessi. La sua poetica, le sue opere e quelle degli autori minori del Seicento saranno oggetto di un altro seminario. 

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