LA POESIA TRA
CINQUECENTO E SEICENTO
Il quadro storico dell’Europa e dell’Italia
La critica situazione dell’impero
germanico alla fine del XVI secolo, diviso dalle questioni religiose (la
Riforma luterana: Lutero muore nel 1546), costituzionali, politiche ed
economiche, provocò al principio del secolo successivo un conflitto europeo che
ebbe nella Guerra dei Trent’anni (1618-1648: anno della pace di Westfalia) il
suo epilogo più significativo. Alla fine del conflitto si delineò una nuova
divisione del potere in Europa e si costituì una nuova cornice giuridica di
relazioni internazionali nell’ambito della quale s’impose l’idea
dell’uguaglianza politica di tutte le nazioni, in opposizione all’antica
concezione dell’universalità dell’impero germanico. La Francia e la Svezia, gli
stati garanti di questo nuovo ordine, divennero le nuove potenze egemoniche del
continente, a discapito degli Asburgo.
Inquadramenti della poesia nel
periodo storico ed artistico in genere
Ogni arte non può non risentire del
clima culturale, in senso ampio, in cui vive e si manifesta e, più
specificamente, del momento storico, filosofico e scientifico, delle evoluzioni
delle condizioni economiche e sociali, dell’influenza esercitata dai grandi
autori delle epoche precedenti.
Il momento importantissimo di
transizione dell’arte italiana, che trova il suo sbocco nel barocco, vive una
temperie che risente innanzitutto di eventi storici drammatici, primo fra tutti
la frantumazione dell’equilibrio politico e religioso raggiunto da Carlo V, e
poi la disastrosa Guerra dei trent’anni dalla quale tutta l’Europa fu
sconvolta, e poi ancora le grandi scoperte scientifiche, note, in una sola
parola, come la rivoluzione copernicana.
Sono questi gli eventi
che segnarono il passaggio dell’atteggiamento dell’uomo rinascimentale, sereno
nella rivisitazione e nella contemplazione dei fasti del mondo classico e delle
immagini profondamente religiose che uscivano dal pennello di un Leonardo, di
un Michelangelo, di un Raffaello, ed invece tormentato nella seconda metà del
secolo XVI, nel quale si andava man mano accentuando la profonda trasformazione
avvenuta nella società con la prevalenza, ad un secolo dalla scoperta
dell’America, delle forze produttive borghesi, mercantili, imprenditoriali su
quelle feudali. La crisi del Feudalesimo si avvertì particolarmente nell’Italia
Meridionale, dove molti Signori ne soffrirono e dove quella del grande
madrigalista irpino Carlo Gesualdo costituì una delle pochissime famiglie che,
con parentele altolocate come il Cardinale Carlo Borromeo, con indovinate
operazioni di acquisti all’asta pubblica e con studiati matrimoni di
convenienza, riuscirono a salvarsi dal pauroso declino e dalle gravissime
situazioni di indebitamento in cui vennero a trovarsi tanti altri feudatari.
Nel campo filosofico
l’uomo aveva stabilito, attraverso l’umanesimo, l’antropocentrismo e
l’individualismo, un nuovo rapporto con Dio, che non era l’ateismo, ma neppure
la prostrazione che discendeva da un sentimento fideistico sottomesso, tipico
del Medioevo (“State contenti umana gente al quia/ ché se possuto aveste
veder tutto,/ mestier non era parturir Maria”, scriveva padre Dante circa tre secoli prima). Nel suo anelito
verso l’Infinito, che le scienze gli avevano fatto intravvedere, l’uomo del
tardo Rinascimento si rapporta in modo diverso con la divinità, poiché sente il
bisogno di una comunione più profonda con la sapienza infinita rappresentata da
Dio. Significativo l’ “eroico furore”
di Giordano Bruno, tra i più grandi filosofi del Meridione, anche se è vero
che, specialmente in Italia, si ebbero a subire le costrizioni ideologiche
della Controriforma e con essa un freno profondo all’esaltazione della libertà
di pensiero, dei suoi valori e della sua creatività.
Nell’arte, le Corti rinascimentali non vantavano e non si
accontentavano più di un circolo di intellettuali, alla maniera di quelle
dell’Alto Medioevo, continuatori del mecenatismo della Roma dei Cesari, ma si
circondavano di artisti di ogni genere, pittori, scultori, musici (si pensi
alla corte degli Estensi, dove approdarono sul finire del ‘500 sia Carlo
Gesualdo che Torquato Tasso), e soprattutto di architetti affinché si
accrescesse la magnificenza delle città, fra le quali bisogna porre al primo
posto, per l’influenza che ebbe sull’opera di tantissimi artisti, la Curia
pontificia romana. Nelle corti rinascimentali il letterato doveva ormai
dividere il suo spazio con gli artisti, poiché si cercava l’eleganza e la
maestosità. Nei primi decenni del ‘600 si tendeva decisamente a stupire, con uno
slancio delle sculture e delle architetture verso lo spazio esterno (come nel
Gian Lorenzo Bernini del superbo Colonnato di S. Pietro o del Baldacchino che
vi troneggia all’interno) o con l’isolamento delle figure, fissate ciascuna
dalla intensità di fasci luminosi nel momento dei loro drammi esistenziali
(come in Caravaggio).
Il poeta aderisce alla
vita, perché quello della poesia è un tema aperto all’Infinito ed infinite sono
le vie che permettono all’uomo di avvicinarsi a questa ferma situazione dello
spirito in un determinato periodo della sua storia. Il poeta non rinnega mai la
vita anche se attraverso la disperazione riconosce l’aridità e la dispersione
del cuore degli uomini, perché gli uomini chiedono che il poeta canti la vita e
la verità, la gioia se gioia, il dolore se dolore, il delitto, la psicosi, la
miseria, l’amore. Gli uomini non sanno nulla della vita e della verità a loro
contemporanee e si vogliono perciò confrontare con l’animo dei poeti, il più
sensibile e capace di capire (è la poesia in ultima analisi la più alta delle
arti, che non copia la realtà sensibile ma attinge alle idee universali e la
intuisce: Platone), per sapere se quella che vivono è vita, se quella in cui
credono è verità, e se il poeta ha le loro stesse visioni della vita e della
verità (così Quasimodo).
E così, come per i poeti
del “Dolce Stil Novo” il tema principale è l’amore e l’idealizzazione della
donna che per sua natura più di tutti lo rappresenta, giacché quel secolo,
venuto dopo Francesco d’Assisi, aveva ritrovato la gioia di vivere nella
visione di un mondo in cui tutto e tutti erano Creature di Dio; come i poeti
del Rinascimento esaltano l’uomo e la sua attività, ed anche la natura, che non
vedono come luogo di peccato ma come luogo dell’agire e della realizzazione di
tutte le potenzialità umane; così i poeti dell’epoca barocca, superata la fase
del Manierismo, povera d’ispirazione perché dominata dalle opere dei grandi
predecessori (Francesco Petrarca, soprattutto, con riguardo alla poesia d’amore
in generale ed al madrigale in particolare), operano un ritorno alla teologia e
alla scienza, innovano il canone estetico del rappresentabile, facendo divenire
descrivibile, talvolta con un vero e proprio oltraggio al bello, anche il
brutto ed il deforme, ed annoverano infine anche il merito di aver avuto per
primi il senso di una “letteratura nazionale”. Alle grandi capitali
dell’Umanesimo (Venezia e Firenze, Roma e Napoli), nuovi centri culturali si
affiancano e si distinguono per vivacità e continuità di voci poetiche.
Il secolo cominciato con
l’Accademia della scienza (i Lincei di Federico Cesi, Roma, 1603), si chiuderà
con la nascita dell’Accademia d’Arcadia, il cui fondatore, Giovan Mario
Crescimbeni, pubblicherà quella “Istoria
della volgar poesia”, 1698, che è il primo documento che rivela anche la
consapevolezza della varietà della letteratura italiana.
Gennaro Iannarone
Il Cinquecento (II metà del secolo)
Pietro Bembo
E’ il poeta-cardine da cui bisogna partire
per comprendere il “Manierismo”. Opere principali sono “Prose della volgar
lingua” (1525) e “Rime” (1530).
“Massimo artefice del classicismo volgare
(funzione normativa della poesia del Bembo) e, nel contempo, depositario
provocatore della combinatoria manierista che tenderà ad incrinarne la tenuta”.
”Egli fu tuttavia il sistematore di quell’ “Umanesimo volgare” che era lo
sbocco naturale e necessario del Rinascimento”
(pagg. 709-710) : “Quando, forse, per dar
loco….”
Baldassarre
Castiglione
Opere principali sono “Il libro del
cortegiano” e “Tirsi”
“Il tratto più caratteristico della lirica
del Castiglione è la tendenza ad accentuare gli aspetti più grandiosi, più
densi di “gravitas” del modello petrarchesco”
(pag. 723: “Superbi colli e voi, sacre
ruine,…….)”
Petrarchismo e Manierismo
Premesso che la lirica rappresenta la fase
di transizione nell’arco temporale che congiunge la seconda metà del
cinquecento ai primi decenni del seicento, e che segna il passaggio dal
Rinascimento al Barocco attraverso il Manierismo, “occorre guardare al Bembo
come l’antesignano dell’ortodossia e come suggeritore di possibili
trasgressioni al suo interno (disimmetrie ritmico-sintattiche e logico-strofiche),
onde evitare ogni rigidità storiografica nel contrapporre al petrarchismo il
manierismo che ne è invece una riformulazione radicale, ma in termini già
previsti, tutto sommato, dal codice”. In questa fase di transizione gli impulsi
di Venezia e di Napoli sono attenuati da Firenze.
Poeti della transizione: Giovanni della
Casa, Luigi Groto (749), Celio Magno,
Bernardo Tasso, Bernardo Cappello, Gaspara Stampa (747), Galeazzo di Tarsia, Giovan
Battista Strozzi, Chiara Matraini (779), Michelangelo Buonarroti, Francesco Maria Molza, Domenico
Venier (745) (Venezia),
Ascanio Pignatelli, Luigi Tansillo, Ludovico Paterno, Bernardino Rota, Angelo
Di Costanzo, Ferrante Carafa (Napoli), Francesco Beccuti detto Il Coppetta.
Rime spirituali
Umanesimo e classicismo hanno tenuto
sempre “fuori canone” gli scrittori religiosi, sulla scia di una lettura
desanctisiana del nostro Cinquecento che, per un eccesso di vigore ermeneutico,
cioè interpretativo dello spirito del secolo, aveva lasciato fatalmente in
ombra tale area tematica, limitando l’indagine sul punto soltanto ai secoli
XIII e XIV.
Determinante è stato anche il dominio del
“codice petrarchesco”, ossia della lirica amorosa, rispetto alla quale un primo
tentativo di lettura fu compiuto da Girolamo Malipiero (pag. 802) con il suo “Petrarca
spirituale”(1536), cui seguirono i “Salmi” e “La passione di Giesù” di Pietro
l’Aretino, che si cimentò, stranamente, in una produzione di carattere sacro.
Il momento fondativo della lirica
spirituale è tuttavia costituito dalle Rime spirituali (pag. 806) di
Vittoria Colonna (1546), che influenzerà produzioni minori dello stesso
carattere, nel quadro storico della Riforma e della Controriforma, da parte di
personalità dottrinalmente irrequiete. Certamente non si è più a contatto con le
certezze ed il misticismo del Trecento ed appare lontanissimo uno Jacopone da
Todi. Interessante è sapere che, in questo clima, abbiamo un Michelangelo
Buonarroti (812), che faceva parte del cosiddetto circolo di Viterbo, composto
da elementi di spicco dell’evangelismo, dove nel 1538 aveva avuto modo di
conoscere Vittoria Colonna.
Tuttavia, come conseguenza immediata del
Concilio di Trento, si ha che a partire dalla fine degli anni 50 del secolo XVI
avviene una trasformazione profonda ed un brusco cambiamento, riconducibili ad
un enorme apparato di controllo, di repressione e di propaganda, con la
comparsa di una fitta rete di figure come il confessore o la guida spirituale,
e con il fenomeno dei libri messi all’Indice e dei processi penali intentati contro
scrittori e poeti.
Pur sottolineando l’immediatezza
espressiva e la trasparenza del dettato di Gabriele Fiamma (824), che attenua
nel manierismo anche l’asprezza dell’esperienza mistica, o la sublimazione del
codice lirico in un sentimento di perdita irreparabile che in Celio Magno
(831), uno dei più significativi esponenti, è solo in parte compensata dalla
speranza del perdono divino, in generale comunque si assiste, nella seconda
metà del secolo, ad un ripiegamento interiore della lirica spirituale, all’accentuazione
della dimensione del “patimento” individuale, che finisce per essere il
necessario “esercizio spirituale” per poter ricostruire dentro di sé i “luoghi”
fondamentali dell’itinerario devozionale.
TORQUATO TASSO
Occupa un posto a sé nella poesia
dell’ultima parte del secolo poiché con la comparsa delle sue Rime avviene, più
di due secoli dopo il Petrarca, la rifondazione effettiva della nostra
tradizione lirica.
Poiché, tuttavia, a Torquato Tasso sarà
dedicato dalla Fondazione più di un incontro culturale da parte di altri
relatori, noi non ci soffermeremo in questa sede se non per richiamare un
madrigale che Carlo Gesualdo musicò nel Libro secondo della sua opera musicale,
nel periodo felice dei suoi rapporti con il poeta (pag. 855). Completando quel
che dicemmo nell’incontro del 7 dicembre sulla poetica di Carlo Gesualdo e nel
tracciare le differenze fra i due nell’atteggiamento di fronte alle pene
amorose, trasformate assurdamente in “gioia del soffrire” in Carlo Gesualdo, e
trascolorate dal dato umano a quello naturale del paesaggio, ma prive della
componente gioiosa nel Tasso, vi leggeremo anche “Qual rugiada o qual
pianto….(pag. 872)
Il Seicento (I metà del secolo)
Molteplici motivi inducono a considerare
il secolo XVII come il periodo in cui muore la vecchia Europa e nasce una nuova
identità europea. Sul piano storico non ci possiamo soffermare più di
tanto, ma siccome possono ravvisarsi delle analogie con il momento che stiamo
attualmente attraversando, è interessante osservare che tra la fine del ‘500 e
il ‘600 la presa di coscienza della diversità e molteplicità delle forme di
esistenza, di modi di pensare, di produrre ed organizzare la società, derivante
dalla conoscenza delle popolazioni americane, asiatiche, africane, finisce per costituire
un rafforzamento della coscienza di tutti gli Europei di appartenere ad una
parte del mondo che diventa sempre più piccola nel confronto con gli altri
continenti, ma nello stesso tempo appare dotata di specificità e di caratteri
peculiari, quali la razza e molti fattori culturali, che ne determinano
l’identità. Quanto alle analogie cui si accennava possiamo noi, oggi, affermare
altrettanto? La nostra Europa attuale, quella dell’euro che fa tanto soffrire
le nostre tasche, ci sembra una grande anche se difficile realizzazione, ma non
è poi, in verità, che una piccola realtà di un mondo che pare aver acquisito
dimensioni galattiche, di fronte al quale, pur nella notevole mescolanza di
culture, conviene però racchiuderci in una dimensione etico-cristiana,
rispettosa della scienza tecnologica e che non abusi di termini di cui piace
riempirci la bocca, come la laicità, senza comprendere appieno dove
portano, dato che sembra che portino ad un liberismo incontrollato (piace fare
soltanto quello che giova a sé stessi, in una visione narcisistica del senso
della vita, priva dei valori fondamentali dell’altruismo, del rispetto e
dell’amore per gli altri), privo di punti seri di riferimento, che possono
provenire soltanto dalla unità della cultura.
Anche per questi
motivi di ordine storico, l’Europa del Seicento vive dunque un momento
importante di unificazione culturale (che penso sia anche un effetto della
universalità della scienza, che non soffre i limiti delle diversità
linguistiche e culturali), soprattutto perché dappertutto si assiste ad una laicizzazione
della cultura. Ciò può apparire in contrasto con un altro elemento tipico
del secolo, cioè la diffusissima ripresa della spiritualità e di un accentuato
fervore religioso. Tuttavia, riconoscendo, tra l’altro, che il Seicento è in
realtà un periodo di forti chiaroscuri e di contraddizioni clamorose, i due
fenomeni non entrano in conflitto proprio perché la laicizzazione si manifesta
soprattutto come “emancipazione” di importanti branche della conoscenza,
della ricerca scientifica e filosofica, dell’arte, dalle problematiche
religiose e metafisiche, senza che questo vada ad interferire nel campo della
fede. Si tratta in particolare del riconoscimento di ambiti diversificati ed
autonomi nei quali la personalità umana si realizza compiutamente. Si tenga
conto che l’elemento innovativo più rilevante che si manifesta in questo
periodo nell’ambito della religiosità e della morale è il ruolo fondamentale che
comincia ad essere attribuito all’atteggiamento etico individuale, fortemente
interiorizzato; così che è sul piano personale che ciascuno cerca di risolvere il problema di far
convivere ed armonizzare fede e conoscenza, religiosità e ricerca di una verità
scientifica o filosofica. Il Seicento è il secolo della rivoluzione
scientifica, movimento che coinvolge
i gruppi intellettuali di tutti i paesi che si ritrovano impegnati su di un
campo di ricerca comune e procedono mantenendosi in stretto contatto fra loro;
è proprio in questo periodo che si gettano le fondamenta di quella comunità
scientifica europea che, al di sopra dei confini, delle divisioni
religiose, della diversità di costumi e di lingue, comincia ad essere il
riferimento costante per chiunque eserciti il proprio ingegno e spenda le
proprie energie nella ricerca.
Ma veniamo alla
poesia!
La poesia del
Seicento parte da uno squadernarsi del mondo nelle “sante meraviglie” della
scienza del remoto, tanto nel tempo, come nei sonetti sul Genesi e sulla
feracità della natura, quanto nello spazio, poiché, cannocchiale e microscopio,
avvicina il macrocosmo al microcosmo, la luna alla lucciola. E’ una “poesia
della scienza” che si allarga (si pensi alla serie di sonetti di Girolamo
Fontanella: “Al diamante”: “Pietra che luminosa ardi tremante”, “Alla perla”,
“Al corallo”, “Al garofano” , “Al muschio”, “All’api”………………………………………..
Come già si è
accennato, dopo il primato della lirica petrarchesca un’attenzione nuova a
generi e forme recenti e sperimentali caratterizza l’età del Concilio di
Trento, che con il suo apparato apologetico rinnova la poesia propriamente
teologica, nutre ed autorizza quella mistica (così come influenza l’arte
figurativa: Gian Lorenzo Bernini, Caravaggio). Primeggia tuttavia l’intento
della meraviglia tipicamente barocca.
Si ha così, con
Gabriello Chiabrera, l’obliterazione dell’eredità petrarchesca, pur sottilmente
presente attraverso il filtro sfigurante di Torquato Tasso ed il melismo
manieristico, perché c’è l’impiego di versi brevissimi e il dilagare di
estranee al modello di Pietro Bembo. Il “meraviglioso” non è ancora trasferito
al livello delle immagini come in Giovan Battista Marino, ma nell’artificiare
poetico della metrica e del ritmo, come nelle Canzonette (pag. 28:
Fedeltà d’amore).
Con Tommaso
Campanella il verso filosofico (pag. 49) costituisce il più efficace strumento
del pensiero. La sua poetica, che è un ritorno a Dante, come modello di una
poesia che attinge all’unica vera sorgente di verità: quella rivelata dal
Cristianesimo, vuole assumere il ruolo della “rappresentazione del significato
del mondo”. Toccante è la “Lamentevole orazione profetale dal profondo della
fossa dove stava incarcerato”, che è composta di otto madrigali (pag. 53: Madrigale
I). Si sa che Tommaso Campanella, a causa delle sue visioni politiche e
religiose (ricomposizione di una unità politico-religiosa dell’Europa, minacciata
dai Turchi, sotto l’egemonia del Papa e della Spagna) fu più volte arrestato e
trascorse gran parte della sua vita in carcere, 27 anni, i primi dei quali
assunsero, in Napoli, forme mostruose di detenzione e di tortura. Anche in lui
si può riguardare un’anima tormentata, ma le retrospezioni della sua poesia (il
ritorno a Dante) rivelano momenti di ansia, di vagheggiamento di un ritorno
alla natura e nel contempo di esaltazione della grandezza dell’uomo, che fanno
pensare al rinascimento, piuttosto che al barocco.
Con Giovan
Battista Marino, napoletano, maggiore esponente della poesia del secolo,
oggetto allo stesso modo di apologie esaltate e di critiche feroci dirette non
solo alla sua poesia ma anche e soprattutto alla sua vita, il progresso degli
studi sul Seicento gli riconoscono una cultura eclettica ma superficiale, un
gusto finissimo, una curiosità tale da renderlo febbrile ricercatore di novità
letterarie e mondane, ciò che lo portò ad allontanarsi da Napoli, dove conobbe
tra il 1588 e il 1594 Torquato Tasso e dove compì soltanto la sua prima
formazione, per raggiungere poi i centri più all’avanguardia del Nord (da
Venezia a Bologna, a Genova, a Torino e poi in Francia), nei quali poté
intrecciare i rapporti più utili alla sua vita e ai suoi interessi. La sua
poetica, le sue opere e quelle degli autori minori del Seicento saranno oggetto
di un altro seminario.
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