Massacro di una giovane
nuora
Quando Ubaldo partì per il servizio militare
Giovanna, sua sposa poco più che diciottenne, rimase a vivere nel casolare del
suocero in una contrada campestre dell’Irpinia. Dapprincipio si comportò bene,
ma al rientro da un breve soggiorno in Gabicce presso la sorella Elisa,
cominciò a tenere una condotta un po’ irregolare, allontanandosi di casa ogni
giorno e ritirandosi spesso a sera inoltrata. Più volte il suocero Pietro le
chiedeva il perché di tali lunghe assenze e quali luoghi frequentasse, ma
l’insofferente ragazza si rifiutava di dargli spiegazioni, rispondendogli
spesso in modo sgarbato. Lui aveva perciò cominciato a sospettare della fedeltà
della giovane nuora e i suoi sospetti erano stati poi avvalorati, essendo
venuto a sapere che Giovanna era stata fermata e identificata dai Carabinieri
intorno alla mezzanotte in una via di Gabicce Mare solitamente frequentata da
prostitute, in compagnia di un ragazzo napoletano, spiacevole episodio per il
quale la sorella Elisa, dopo averla ospitata per circa un mese, si era poi
vista costretta a farla rientrare in Irpinia, spiegandone le ragioni in una
lettera scritta al cognato Ubaldo. E tanto rodevano l’animo dell’anziano
suocero notizie e sospetti, che aveva cominciato a confidarsi con il suo amico
Franco, e poi si era rivolto a un giovane di nome Lucio, anche lui amico di
famiglia, per farla sorvegliare. Un’idea sbagliata e alquanto ingenua, che
aveva consentito al Lucio di divenire un accompagnatore così assiduo di Giovanna
da indurre l’ulteriore sospetto che ne fosse divenuto l’amante, tanto più che
Lucio frequentava compagnie poco raccomandabili, in seno alle quali faceva
capolino anche la prostituzione, che richiamava alla mente dell’anziano Pietro
l’episodio di Gabicce e ne acuiva ancor di più il tormento e la rabbia.
Un’atmosfera pesante cominciò a gravare sulla intera
famiglia.
Nella settimana prima di Natale, poiché l’assenza da
casa di Giovanna si protraeva da oltre tre giorni, il cognato Andrea dapprima
informò telefonicamente il fratello della condotta della moglie, esortandolo a
scendere al Sud e poi, appena il giorno dopo, gli ritelefonò per sconsigliarlo
dal venire in Irpinia, pregandolo di fermarsi a Pescara presso un’altra sorella,
dove l’avrebbe raggiunto. Questo brusco contrordine, motivato da Andrea con
ragioni del tutto inconsistenti, in verità proveniva dall’anziano suocero, il
più esacerbato di tutti, che aveva deciso di “giustiziare” la giovane nuora,
assumendosi il ruolo di vindice dell’onore del figlio e così evitandogli di
sporcarsi le mani di sangue, pericolo concreto per quel che Ubaldo aveva saputo.
Durante la perdurante assenza di Giovanna fu
frenetico l’andirivieni di Lucio tra la contrada avellinese e il paesino irpino
di cui la ragazza era originaria. Ma più di una volta Lucio non era stato
sincero nel riferire della presenza della ragazza a casa della madre e aveva
finito così per inasprire ancor di più gli animi, fino al punto che Pietro lo aveva
messo alla porta, contestandogli che proprio lui portava in giro sua nuora.
Giovanna tornò a casa nella serata di quello stesso
giorno, un quarto d’ora prima delle nove. All’interno il suocero discuteva con
l’amico Franco dell’assenza della giovane nuora, divenuta per lui una vera
ossessione, mentre altre persone s’intrattenevano a giocare a tombola. Appena
Giovanna raggiunse la soglia di casa, Pietro le ingiunse di uscire fuori,
chiamandola “Signora”. Lei gli girò di
scatto le spalle come per andarsene, senza profferire parola. Fu il suo ultimo
sgarbo. Lui, dopo aver prelevato un’ascia appositamente collocata sul davanzale
della finestra, la inseguì infuriato per colpirla. Mentre Franco s’intromise
per fermarlo ma dovette farsi da parte perché Pietro minacciò di colpire anche
lui, Giovanna prese a correre disperatamente per la campagna, gridando aiuto e
invocando la madre, ma una indescrivibile furia omicida raddoppiò le forze di
Pietro. Benché anziano e con una sola mano valida, perché l’altra l’ha mezza
perduta in guerra, la raggiunse e la colpì più volte sulle spalle e nei fianchi,
fiaccandone la corsa. La ragazza, in un gesto estremo di difesa, gli afferrò la
mano armata di scure ma lui la morse al polso, costringendola a lasciare la
presa. Quindi le assestò con inaudita violenza e con estrema ferocia un colpo
di accetta in testa, che penetrò nel cranio della poveretta fino al manico.
Subito dopo rientrò nel casolare tutto lordo di sangue, riferì ai presenti quel
che aveva commesso e andò a costituirsi ai Carabinieri.
Sotto la sua evidente regia preventiva, i due
fratelli nel ritorno da Pescara “girarono al largo”, non dirigendosi al casolare
del padre, ma presso la Caserma di un paese limitrofo, con lo scopo apparente
di denunciare la condotta della cognata, ma in verità per far constatare la
loro provenienza da lontano e nel giorno successivo all’omicidio. Appreso
l’accaduto dai Carabinieri, non si mostrarono affatto scossi, poiché
verosimilmente ne erano già a conoscenza o quanto meno avevano dato per
scontato quel tragico finale.
Gennaro Iannarone
(dal libro “Sciroppo amaro e altri veleni”
A. Guida editore – Napoli 2012)
Nessun commento:
Posta un commento