mercoledì 31 agosto 2016

RACCONTO (Massacro di una giovane nuora)


Massacro  di  una  giovane  nuora



Quando Ubaldo partì per il servizio militare Giovanna, sua sposa poco più che diciottenne, rimase a vivere nel casolare del suocero in una contrada campestre dell’Irpinia. Dapprincipio si comportò bene, ma al rientro da un breve soggiorno in Gabicce presso la sorella Elisa, cominciò a tenere una condotta un po’ irregolare, allontanandosi di casa ogni giorno e ritirandosi spesso a sera inoltrata. Più volte il suocero Pietro le chiedeva il perché di tali lunghe assenze e quali luoghi frequentasse, ma l’insofferente ragazza si rifiutava di dargli spiegazioni, rispondendogli spesso in modo sgarbato. Lui aveva perciò cominciato a sospettare della fedeltà della giovane nuora e i suoi sospetti erano stati poi avvalorati, essendo venuto a sapere che Giovanna era stata fermata e identificata dai Carabinieri intorno alla mezzanotte in una via di Gabicce Mare solitamente frequentata da prostitute, in compagnia di un ragazzo napoletano, spiacevole episodio per il quale la sorella Elisa, dopo averla ospitata per circa un mese, si era poi vista costretta a farla rientrare in Irpinia, spiegandone le ragioni in una lettera scritta al cognato Ubaldo. E tanto rodevano l’animo dell’anziano suocero notizie e sospetti, che aveva cominciato a confidarsi con il suo amico Franco, e poi si era rivolto a un giovane di nome Lucio, anche lui amico di famiglia, per farla sorvegliare. Un’idea sbagliata e alquanto ingenua, che aveva consentito al Lucio di divenire un accompagnatore così assiduo di Giovanna da indurre l’ulteriore sospetto che ne fosse divenuto l’amante, tanto più che Lucio frequentava compagnie poco raccomandabili, in seno alle quali faceva capolino anche la prostituzione, che richiamava alla mente dell’anziano Pietro l’episodio di Gabicce e ne acuiva ancor di più il tormento e la rabbia.

Un’atmosfera pesante cominciò a gravare sulla intera famiglia.

Nella settimana prima di Natale, poiché l’assenza da casa di Giovanna si protraeva da oltre tre giorni, il cognato Andrea dapprima informò telefonicamente il fratello della condotta della moglie, esortandolo a scendere al Sud e poi, appena il giorno dopo, gli ritelefonò per sconsigliarlo dal venire in Irpinia, pregandolo di fermarsi a Pescara presso un’altra sorella, dove l’avrebbe raggiunto. Questo brusco contrordine, motivato da Andrea con ragioni del tutto inconsistenti, in verità proveniva dall’anziano suocero, il più esacerbato di tutti, che aveva deciso di “giustiziare” la giovane nuora, assumendosi il ruolo di vindice dell’onore del figlio e così evitandogli di sporcarsi le mani di sangue, pericolo concreto per quel che Ubaldo aveva saputo.

Durante la perdurante assenza di Giovanna fu frenetico l’andirivieni di Lucio tra la contrada avellinese e il paesino irpino di cui la ragazza era originaria. Ma più di una volta Lucio non era stato sincero nel riferire della presenza della ragazza a casa della madre e aveva finito così per inasprire ancor di più gli animi, fino al punto che Pietro lo aveva messo alla porta, contestandogli che proprio lui portava in giro sua nuora. 

Giovanna tornò a casa nella serata di quello stesso giorno, un quarto d’ora prima delle nove. All’interno il suocero discuteva con l’amico Franco dell’assenza della giovane nuora, divenuta per lui una vera ossessione, mentre altre persone s’intrattenevano a giocare a tombola. Appena Giovanna raggiunse la soglia di casa, Pietro le ingiunse di uscire fuori, chiamandola “Signora”. Lei gli girò di scatto le spalle come per andarsene, senza profferire parola. Fu il suo ultimo sgarbo. Lui, dopo aver prelevato un’ascia appositamente collocata sul davanzale della finestra, la inseguì infuriato per colpirla. Mentre Franco s’intromise per fermarlo ma dovette farsi da parte perché Pietro minacciò di colpire anche lui, Giovanna prese a correre disperatamente per la campagna, gridando aiuto e invocando la madre, ma una indescrivibile furia omicida raddoppiò le forze di Pietro. Benché anziano e con una sola mano valida, perché l’altra l’ha mezza perduta in guerra, la raggiunse e la colpì più volte sulle spalle e nei fianchi, fiaccandone la corsa. La ragazza, in un gesto estremo di difesa, gli afferrò la mano armata di scure ma lui la morse al polso, costringendola a lasciare la presa. Quindi le assestò con inaudita violenza e con estrema ferocia un colpo di accetta in testa, che penetrò nel cranio della poveretta fino al manico. Subito dopo rientrò nel casolare tutto lordo di sangue, riferì ai presenti quel che aveva commesso e andò a costituirsi ai Carabinieri.

Sotto la sua evidente regia preventiva, i due fratelli nel ritorno da Pescara “girarono al largo”, non dirigendosi al casolare del padre, ma presso la Caserma di un paese limitrofo, con lo scopo apparente di denunciare la condotta della cognata, ma in verità per far constatare la loro provenienza da lontano e nel giorno successivo all’omicidio. Appreso l’accaduto dai Carabinieri, non si mostrarono affatto scossi, poiché verosimilmente ne erano già a conoscenza o quanto meno avevano dato per scontato quel tragico finale.

                                                                       Gennaro Iannarone

                         (dal libro “Sciroppo amaro e altri veleni”

A.   Guida editore – Napoli 2012)


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