Il Destino e l’Anima
A ridosso di Mercogliano si tiene
durante l’estate, nel mese di luglio, la Rassegna Internazionale di Orchestre
nella stupenda Abbazia di Loreto di Montevergine. L’ampiezza e la circolarità
del grande cortile, i tenui colori bianco e ocra chiaro, la perfezione
dell’acustica, lo scenario del monte Partenio sono una cornice veramente rara
per ospitare l’arte della Musica.
Pur soffrendo per il freddo umido
serale, ogni anno vi partecipo, non tanto per ascoltare i pezzi in programma,
quanto per subirne una particolare suggestione che non può darmi lo stereo di
casa mia. La Musica ha la capacità di provocare ogni volta nuove emozioni e
riflessioni, ancor più nell’età longeva, quando si ha un lungo passato alle
spalle, a cui i giovani – forse è per questo che non sono attratti dalla musica
classica – non hanno la possibilità di attingere per provare nostalgie, per
essere investiti da flash di rimpianti o di mestizia, o dai numerosi fotogrammi
gioiosi o tristi di una vita per la maggior parte vissuta.
A pensarci bene, anche nella
mitologia appare come l’unica arte che sia riuscita a far tornare
dall’Oltretomba una persona defunta, come Euridice, che Plutone, commosso ed
impietosito dalle sublimi melodie della lira di Orfeo, riconsegnò al suo inconsolabile
amante. Un mito che ci fa anche capire quanto grande sia stata la musica greca
e che cosa abbiamo perduto perché mancava ai tempi di Omero un metodo di
notazione musicale. Anche nella filosofia la ritroviamo come l’arte che Platone
pone al di sopra di quelle figurative, per essere l’unica capace di esprimere col
canto degli aedi pensieri e sentimenti e quindi di attingere idee universali,
senza passare attraverso l’imitazione della realtà sensibile.
Nell’Andante con moto del Quarto Concerto per pianoforte e orchestra di
Beethoven, che ho ascoltato in una tiepida sera della scorsa estate, a differenza
del solito schema in cui le masse orchestrali riprendono, spesso alternandosi
con un crescendo di vigore e di pienezza, i due temi svolti dallo strumento e
dall’orchestra sono diversi, si contrappongono e si contrastano in un’atmosfera
dapprima malinconica, poi profonda e drammatica, alla fine liberatrice e
serena. Lo stesso Beethoven aveva parlato, a proposito del contrapporsi di
questi due temi, come di una lotta tra la forza cieca ed imperscrutabile del
Destino che determina il corso della nostra vita, e l’Anima, la nostra parte
più nobile, che soffre le vicende della sorte ma riesce a risollevarsi.
Ed invero, su un flebile, timido e
malinconico tema iniziale del piano l’orchestra incombe con poderosa drammaticità,
interrompe il canto dell’Anima, lo sovrasta, lo zittisce perentoriamente più
volte, ma non riesce ad annientarlo, perché esso riprende, come se cercasse un
dialogo, che però non gli è ancora reso possibile dagli archi che irrompono più
volte, troncando impietosamente un lirismo che pare implorare un suo spazio
vitale. Fino a quando, mentre gli stacchi dell’orchestra attenuano il tono, la
melodia comincia a crescere, si scioglie e si libera da qualcosa che
l’opprimeva e finalmente si slancia nella espressione della completezza del suo
tema, con una insistenza che sa della consapevolezza di una superiorità che ha
vinto.
Il dialogo tra il Destino e l’Anima è
una tematica tipica della poetica beethoveniana, culminante nella celeberrima Quinta
Sinfonia, ma presente già, in embrione, nel tema del primo tempo del Quarto
concerto, che comincia appunto con tre gruppi di quattro note ciascuno (fa-fa-fa-fà/mi-mi-mi-mì/-fa-fa-fa-fàdiesis---sòl), alquanto simili alle quattro note con cui ha inizio la Quinta,
la cui numerazione (op. 67) è peraltro di poco successiva all’op. 58 del Quarto
Concerto per pianoforte. Anche qui, dunque, una vittoria contro la durissima
avversità della sordità che lo aveva colpito, conducendolo a un passo dal
suicidio, dal quale lo aveva salvato soltanto l’amore per la Musica.
Gennaro
Iannarone
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