IL LIBRO DI MIRELLA NAPODANO "SOCRATE
IN CLASSE"
(Commento di Gennaro Iannarone)
“Il desiderio di esprimere il
nostro pensiero e di capire il pensiero altrui è amore. E il tentativo di
esprimere le verità che solo si intuiscono e le fa trovare a noi e agli altri è
amore. Perciò essere maestro, esser sacerdote, esser cristiano, essere artista,
essere amante ed essere amato sono in pratica la stessa cosa” (don Lorenzo Milani)
Il
proposito di fare filosofia con i bambini potrebbe suscitare a una prima reazione
psicologica scetticismo o meraviglia. A tutt’altro convincimento si perviene,
invece, dopo aver letto lo straordinario libro di Mirella Napodano: “Socrate
in classe”, editore Morlacchi-Perugia, già pervenuto alla ristampa.
Mirella
Napodano e il marito Gigi Iandoli, entrambi docenti di filosofia, coltivano
l’idea di diffondere le tematiche filosofiche al di là delle mura scolastiche o
anche universitarie. Approdano così per prima nelle carceri, per discutere con
i detenuti del senso della colpa e della pena. Poi, in collaborazione, si
spostano fra i bambini del II° ciclo (terza, quarta e quinta) della scuola
elementare e inventano la “Lezione di
filosofia”, convinti che bisogna “recuperare
l’idea socratica di verità come frutto del dialogo”.
Ha
inizio così nella Scuola Primaria Paritaria “S. Chiara d’Assisi” di Avellino un vero e proprio laboratorio di idee
semplici ma essenziali per una vita morale, la cui organizzazione, non priva di
videoregistrazioni o della redazione di “Diari di bordo” ad opera degli stessi
alunni, si fonda su tre principali cardini:
a) riuniti i bambini sotto la guida
di due o tre insegnanti e la direzione del prof. Gigi Iandoli, si racconta loro
un mito, una favola, si legge una poesia o una frase tratta da testi filosofici,
e comunque si propone un tema idoneo a suscitare considerazioni di ordine etico
e comportamentale di notevole valore educativo;
b) i bambini vengono stimolati ad
esprimere liberamente il loro pensiero e a ricercare i significati desumibili
dal tema proposto, donde nasce un interessante dialogo, quasi un dibattito, tra
di loro;
c) gli insegnanti ne seguono
attentamente lo svolgimento, e intervengono soltanto per porre ordine nelle
discussioni, talora animate da vivaci contrapposizioni di idee, o anche per
evitare divagazioni e orientare gli alunni verso una conclusione del discorso,
possibilmente conciliativa delle eventuali divergenti opinioni, ma in ogni caso
portatrice di forti messaggi.
L’idea
viene accolta e realizzata con entusiasmo dagli scolari, che partecipano
assiduamente e con intelligenza ad oltre cinquanta sedute, giungendo a definire
la “lezione di filosofia”, molto significativamente, come “l’ora della libertà”. A
distanza di qualche anno, scomparso il prof. Gigi, la moglie Mirella ne
continua l’opera con grande professionalità, alimentata dall’appassionato
ricordo del marito e delle sue originali e interessanti sperimentazioni. Dà
quindi alle stampe “Socrate in classe”, nel quale riannoda magistralmente i
concetti e i metodi pedagogici fondati sulla efficacia dell’apprendimento
dialogico. In particolare, ponendo a base le autentiche “lezioni di filosofia”,
ella opera in modo che, per dirla con Goethe, “la macchina dei pensieri sia come il telaio del tessitore, dove i fili
scorrono invisibili ed un colpo genera mille collegamenti”. E infatti dal
libro di Mirella Napodano è possibile enucleare degli “argomenti-chiave”
intorno ai quali ruota tutta l’opera e le considerazioni filosofiche
dell’autrice, che non prescindono mai dai dialoghi dei ragazzi, ma ne fanno la
trama principale da cui si dipartono a raggiera notevoli riflessioni politiche,
pedagogiche e morali, dominate dal principio che la conoscenza si costruisce
con il dialogo e l’argomentazione (concetto della “metacognizione”), inframezzate, con discrezione, da alcune massime
di grandi pensatori.
In
un primo capitolo (“La filosofia con
i ragazzi come nuova paideia”)
viene posto in evidenza l’utilizzo del mito nella pratica della filosofia
dialogica a scuola e riportato, come annotato nel Diario di bordo, il “Mito
di Eros” da Platone, che verrà ripreso anche nel capitolo sesto
(“Esplorare l’immaginario”). Rileggendo i passaggi fondamentali le ragazze si
soffermano su Eros, figlio di Poros, l’abbondanza, e di Penìa, la povertà, il quale diventa
amico di Afrodite. Per le caratteristiche prese da entrambi i genitori, Eros
saprebbe apprezzare tutti, sia i sapienti che gli ignoranti e saprebbe parlare
sia con il ricco che con il povero. E poi amerebbe l’arte, il bello. Un alunno
dà una sua interpretazione: gli dei non invitavano mai Penìa sull’Olimpo perché non volevano conoscere la povertà, ma
intanto in tal modo restavano ignoranti. Qualche altro osserva che gli dei
erano in errore nel ritenere di sapere già tutto. L’analisi del mito sollecita
poi tra i ragazzi molti scambi di battute: considerazioni sul desiderio di
conoscere, che può portare anche ad una svolta di vita, sul desiderio di amore
che evita un’esistenza vuota, sui desideri positivi e negativi che conducono
rispettivamente a scegliere il bene e il male, sulla differenza tra amore e
piacere. I docenti bloccano le divagazioni per ricondurre il discorso sul tema
centrale: Eros aspira, ama e desidera
diversamente dagli altri dei. Poi il dibattito continua sulla differenza tra
amore e desiderio e i più si esprimono nel senso che il desiderio è diverso dal
sentimento di amore, mentre solo qualche ragazza afferma che nel desiderare c’è
sempre un sentimento. Alla fine, dopo una ulteriore rianimazione del dialogo,
il conduttore tenta di dare una conclusione: “Desiderare va a braccetto con amare
quando lo leghiamo a cose importanti (e spirituali), se invece lo riferiamo a qualcosa di non importante (e materiale), allora no”. Nello stesso capitolo primo,
anzi, già dapprincipio è sottolineata l’importanza del dialogo come fonte di
rispetto dell’idea dell’altro, che si traduce poi in rispetto dell’altro, dopo
l’interessante considerazione di un’alunna (Mariangela) che ci sarebbe monotonia
in un mondo in cui tutti gli esseri umani abbiano lo stesso carattere e le
stesse idee. Immaginando di essere intervistata sull’esperienza compiuta nel
“laboratorio di filosofia” ed interrogata su che cosa ha appreso, la stessa
risponde: “Di tutto: a rispettare l’idea
dell’altro”.
Nel
secondo capitolo (“Comunicare, ovvero
navigare nel mare delle idee e dei perché”), dopo un accenno all’
“educazione sentimentale” che è stimolata dalla cooperazione laboratoriale
l’autrice riporta una seduta nella quale gli alunni (una quinta elementare)
sono partiti dal racconto di Pinocchio. C’è subito da meravigliarsi nel notare
che essi hanno impostato più di una “quaestio”
con la relativa “disputatio”, usando
tali termini della filosofia scolastica con inusitata disinvoltura, una volta
che li hanno ascoltati dai professori. Alla domanda “è bene farsi sempre convincere?” emerge come risposta quasi unanime
il valore della riflessione su ciò che nel dialogo vien detto dall’altro. Il
paese dei balocchi è apparso dapprima come quello in cui regna la libertà ma
poi, disputando, si è rimasti convinti che piuttosto è “un mondo in cui non ci sono regole ma c’è caos”; un altro bambino
ha preferito una definizione più etica che politica: “è quello in cui viviamo che ha tanto di cattivo e vogliamo eliminare”.
Su una “quaestio” di tipo
differenziale (ricorrente in tutte le “lezioni di filosofia”) concludono nel
senso che l’ammaestramento lo si fa senza amore e con la sferza; l’insegnamento
lo si fa con amore e perciò gli insegnamenti lasciano l’impronta nella vita. Seguono
pagine di riflessione sull’approccio precoce alla metacognizione, essendosi collocato il laboratorio di filosofia
dialogica, in cui si impara discutendo, tra Comunicazione,
Argomentazione e Metacognizione.
Nel
terzo capitolo (Una relazione
dialogica per educare all’ascolto e alla reciprocità), abbandonata la
tradizionale credenza che l’educazione si realizza attraverso una sorta di
travaso del sapere (che già Socrate aveva contrastato in un divertente episodio
narrato da Platone nel “Convito” e riportato dalla stessa Mirella Napodano nel
suo precedente libro “Philosophy for children”), e affermato il principio che
“la conquista della relatività dei punti di vista costituisce un progresso
notevolissimo della personalità infantile”, la lezione di filosofia eleva i
suoi livelli, ponendo i piccoli allievi, nel novembre 2002, al confronto con il
famoso “Mito della caverna”. Dopo la narrazione, l’ipotesi posta dal
docente è che uno degli schiavi legati nella caverna esca fuori: sensazioni di
sole, luce, chiarezza, conoscenza, sapienza, contrapposte a tenebre, ignoranza,
mancanza di comunicazione. Uscire dalla caverna è una scelta di coraggio anche
se rischiosa, mentre è codardo chi resta nella caverna. Nel seguito del dialogo
emergono idee quali: contrapposizione tra sole e caverna, dove vengono
evidenziati alcuni aspetti positivi della caverna (senso della protezione e
della casa, restando nella quale non si conosce però il mondo) e negativi del sole
(induzione alla vanità nella supposizione di essere gli unici a conoscere). Da
sottolineare il clima collaborativo e la concentrazione costante dei bambini
sul problema posto all’inizio dopo la narrazione del “Mito”.
PRESENTE,
PASSATO, FUTURO
a) Si è partiti dalla poesia “In viaggio
per Itaca”. Dopo un dialogo tra i bambini si giunge al comune convincimento che
non bisogna dimenticare il passato perché è utile per vivere il futuro.
b)
Poi l’esperienza, che è conoscenza, cambiamento, arricchimento, ad un
“viaggio”, nel quale bisogna apprendere “Tutto di un po’ “, avendo gli scolari
scartato le scelte di apprendere “Di tutto un po’ ” o “Un po’ di tutto”. Il
professore conclude nel senso che il presente è la via di mezzo, “la medietà”,
tra uno “Spazio d’esperienza” e un “Orizzonte di attesa”, mutuando l’espressione dal filosofo francese Ricoeur.
c)
Esperienza di solitudine e di mancanza di dialogo narrata da un bambino.
AMICIZIA
a) Partendo dal testo di Aristotele dal
titolo “L’Amicizia”, è sorto un dialogo molto articolato sui concetti di
affetto, di amicizia come legame d’affetto disinteressato, di compagnia che non
si identifica con l’amicizia. Qualcuno ha detto che si può essere disposti a
cambiare carattere se così viene chiesto da un amico considerato vero. Di qui
qualche altro è passato ad affermare che l’amicizia c’è soltanto quando c’è il
rispetto per l’altro. I bambini hanno quindi espresso i seguenti concetti: 1)
l’amicizia ha bisogno di equilibrio tra due persone; 2) l’amicizia è un legame
familiare; 3) è il pezzo finale di un puzzle che compone una persona; 4) è come
il sapere di un contadino ricco di esperienze; 5) è come una maratona. Una
ragazza ha finito con l’osservare che l’amico vero trova i tuoi difetti e te li
fa notare, mentre l’amico falso li fa notare agli altri.
b) Partendo dall’idea di uno scolaro per
il quale l’amicizia è fondamentale perché rappresenta uno sfogo, il docente ha
invitato a riflettere sulla differenza tra sfogo come bisogno e desiderio. Si è
parlato poi dell’addomesticamento tra amici e della perdita della indipendenza.
Si è concluso dicendo che l’amicizia non deve comportare il soffocamento
dell’altro.
LIBERTA’
a) I bambini hanno svolto alcune
considerazioni sulla base della favola “La
capra del signor Seguin”, scritta da A. Daudet. Concetti centrali quelli
della libertà, del rubare per necessità, della sicurezza e della ingiustizia.
b) Il dialogo si è poi concentrato ancor
di più sulla differenza tra libertà “di” e libertà “da”, in quanto la prima è
stata chiamata libertà positiva e la seconda libertà negativa. I ragazzi invece
hanno preferito soffermarsi un po’ sulla differenza tra libertà interna, che
secondo alcuni di loro sussisterebbe sempre, e libertà esterna. Qualcuno ha
osservato che la libertà interna esiste se c’è la conoscenza; qualche altro ha
posto l’accento sulla libertà negativa, che sarebbe la più difficile da mettere
in atto, come proverebbero i martiri del Risorgimento italiano.
SAPIENZA E SAGGEZZA
a) Dopo la lettura di una frase di Aristotele
(“I giovani diventano sia geometri, sia
matematici e sapienti in queste cose, ma sembra che nessuno diventi saggio”)
uno dei bambini apre il discorso dicendo che “l’apparenza inganna” e dopo di
lui un altro vorrebbe sostituire alla parola “nessuno” del testo aristotelico
la parola “alcuni”. Entrambi i ragazzi tentano di sostenere che anche il
giovane può essere saggio. I docenti fanno capire ai bambini che la sapienza
può essere paragonata alla conoscenza, mentre la saggezza all’esperienza, al comportamento
e al modo di essere.
b) Mentre gli scolari hanno continuato a
porsi la domanda se i piccoli o i giovani possono essere saggi, si è risposto
loro con un’espressione filosofica: “La
conoscenza è necessaria ma non sufficiente per essere saggi”. Qualcuno ha
detto che una persona deve essere saggia con il cuore e deve mettere a
disposizione le proprie conoscenze per gli altri, aggiungendo che questo
significa anche essere "paterni". Ad una domanda provocatoria: “Sarebbe
positivo o negativo se tutti nascessero con un manuale di istruzioni per
l’uso?”, tutti hanno risposto che sarebbe negativo, perché ognuno saprebbe il
proprio destino.
RELAZIONE IN TEMA DI STUDIO DEL
COMPORTAMENTO
a) I bambini vengono interessati a
commentare le relazioni intersoggettive che emergono dal racconto “L’ochetta Martina” di K. Lorenz. Vengono
colti vari aspetti del dialogo che tra loro si stabilisce, annotando le diverse
opinioni dei bambini sul concetto di Imprinting. Si conclude nel senso
che esso è importante per entrambi i protagonisti della storia, nel senso che,
verificandosi che il comportamento dell’uno “impronta” quello dell’altro,
ciascuno riesce a comprendere il comportamento e i modi espressivi altrui,
anche nel rapporto tra l’uomo e l’animale.
b) L’insegnante arriva a chiarire con
l’aiuto dei bambini come l’imprinting sia importante per avere un esempio di
come fare le cose, ma sottolinea l’esigenza che per migliorare sé stessi
bisogna impegnarsi in prima persona e non subire pedissequamente l’ “impronta”
che si riceve dall’altro.
c) La relazione annota che non tutti gli
alunni partecipano attivamente alla discussione.
RELAZIONE SULLE METODOLOGIE DEL
DOCENTE
a) Nel primo incontro la discussione è
stata stimolata dalla domanda: “Sarebbe
meglio se tutti parlassero la stessa lingua?” Dopo qualche intervento
riguardante l’utilità della conoscenza delle lingue, di interessante è emersa
qualche metafora, come quella che “Le
lingue diverse possono costituire un muro, mentre le lingue uguali possono
essere la libertà”.
b) Nel secondo la domanda
dell’insegnante è stata: “E’ possibile vestire i panni dell’altro?” Dopo che i
bambini hanno quasi sempre ripreso quanto detto dai compagni, l’insegnante
ammonisce che “dentro di noi c’è qualcosa
di nascosto che non viene mai fuori perché noi non vogliamo che venga fuori".
Un’alunna ha stigmatizzato “qualcosa di nascosto che non è visibile”.
c) Nel terzo incontro la discussione è
partita invece da una favola: quella della cicala e della formica. Si è notata
la tendenza alla identificazione di alcuni alunni nella diversa indole dei due
insetti. Alla fine i bambini hanno tentato una ipotesi conciliativa: bisogna
far sì che tra i due animali si giunga ad un rapporto di amicizia, anche dopo
un litigio, come tra persone diverse e che nella vita, come ha detto uno degli
scolari, “bisogna lavorare e bisogna divertirsi”.
IL PENSIERO NARRATIVO
a) Il pensiero narrativo viene ritenuto
utile strumento di conoscenza. Lungi dall’essere superato, esso può essere
inserito ed utilizzato nel laboratorio di filosofia dialogica, sia perché la
narrazione implica l’impegno dell’esperienza e della memoria, sia perché può
essere sfruttata per dar vita a prodotti di scrittura creativa che lascia
intravedere vissuti autobiografici di notevole intensità emotiva.
b) In questa “avventura del racconto” si è
tornati al “Mito della caverna”.
I bambini si sono di nuovo soffermati sulla contrapposizione tra luce e
tenebra, tra ignoranza e conoscenza, tra protezione e rischio, tra coraggio e
vigliaccheria. Alla fine i bambini hanno in maggioranza affermato di aver
capito che sono importanti sia la luce (il sole) che le tenebre (la caverna) ai
fini della conoscenza e che, pur dovendo affrontare il nuovo (esempio dello
schiavo che viene liberato o preferisce fuggire dalla caverna), nello stesso
tempo bisogna conservare le proprie radici.
ESPLORAZIONE
DELL’IMMAGINARIO
a) Nel seguire il percorso della
interpretazione di simboli, metafore, allegorie, ancora una volta è apparso
utile richiamare l’attenzione degli scolari sui personaggi del “Mito della caverna” e sui
possibili significati di quella particolare situazione.
b) E’ stato interessante notare che i
bambini sono riusciti ad affrontare un argomento di non facile comprensione e
hanno saputo trasferire spesso il discorso al loro contesto quotidiano.
Infatti, un ragazzo ha osservato che stare nella caverna è come stare sempre
chiuso nella propria stanza; un altro ha detto che la catena è una metafora,
significa che non sono liberi di vedere e capire quello che succede fuori, ciò
che è la vera realtà; una bambina ha fatto il paragone con il brutto
anatroccolo che la mamma porta sempre nello stagno (la caverna); un’altra
disegna la caverna alla lavagna per poi chiedere se ha capito bene la
situazione in cui vi sono gli incatenati; un altro ancora dice che "la caverna è come la televisione che a
furia di fare pubblicità di un prodotto convince gli spettatori che la bontà
del prodotto è proprio quella rappresentata"; infine, a parte
qualche divergente osservazione, una bambina ha concluso che si ha una idea
iniziale che ci condiziona, bisogna cercare altre notizie (uscire dalla
caverna, cioè) per superarla.
c) Ritornando sul punto da cui si era
partiti, ai bambini viene ricordato che a loro viene affidato il compito di
inventare un mito.
d) Infine viene esplorato l’immaginario
anche sotto il profilo corporeo e ludico.
LA PAIDEIA RITROVATA
Il
problema educativo – nella prospettiva del dover essere della cultura
occidentale – ha avuto a che fare fin dalle origini con l’UTOPIA, espressa
nell’Atene di Pericle con la metafora della città perfetta e nella sua capacità
di trasformare gli individui in cittadini.
Un’intima connessione caratterizza i concetti di repubblica e paideia in Platone, come pure una forte
valenza formativa connota la politica in Aristotele. Per contro, la
post-modernità ipercomplessa dei nostri giorni sconta l’asimmetria fra un dilagante
sviluppo scientifico-tecnologico e una stentata rincorsa
etico-politico-educativa, inficiata da relativismo, sfiducia e
carenza di senso – che inevitabilmente ricadono sull’antropologia
dell’educazione.
In
questa situazione non c’è posto per l’UTOPIA PEDAGOGICA.
Spettando
comunque alla scuola educare i giovani alla cittadinanza etica, ricreando la
consapevolezza di un bene comune che merita di essere perseguito con buone
pratiche, tra le buone pratiche il LABORATORIO DIALOGICO A VALENZA FILOSOFICA
E’ UNA PROPOSTA INNOVATIVA, emotivamente coinvolgente, anche se radicata nella
tradizione dialettica ed etica di una cultura ancorata ai valori fondanti della
ricerca e della prosocialità.
Il
libro "SOCRATE IN CLASSE" di Mirella Napodano ha un notevole valore
pedagogico e sociale. Se la dimensione fondamentale dell’educazione è l’amore
per la crescita e la piena autorealizzazione delle creature umane, non vi può
essere cura e premura più grande di quella di:
INSEGNARE A PENSARE IN AMBITO
COMUNITARIO, FACENDO SPERIMENTARE IL PIU’ PRESTO POSSIBILE L’APPROCCIO
FILOSOFICO ALLA CONOSCENZA E ALL’ESISTENZA, RECUPERANDO, ATTRAVERSO FIGURE
EMBLEMATICHE DI MITI, FIABE E FAVOLE, IL RAPPORTO AUTENTICO CON LA VITA E LA
REALTA’ QUOTIDIANA, UNITAMENTE AL DIRITTO ALLA RIFLESSIONE METACOGNITIVA E
FILOSOFICA.
Lavorare a pensare bene: ecco il principio della morale
B. Pascal
Avellino, 25 ottobre 2008 Gennaro Iannarone
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