domenica 30 ottobre 2016

SAGGIO (Commento al Saggio di Mirella Napodano SOCRATE IN CLASSE)


IL LIBRO DI MIRELLA NAPODANO "SOCRATE IN CLASSE"



(Commento di Gennaro Iannarone)



Il desiderio di esprimere il nostro pensiero e di capire il pensiero altrui è amore. E il tentativo di esprimere le verità che solo si intuiscono e le fa trovare a noi e agli altri è amore. Perciò essere maestro, esser sacerdote, esser cristiano, essere artista, essere amante ed essere amato sono in pratica la stessa cosa(don Lorenzo Milani)



         Il proposito di fare filosofia con i bambini potrebbe suscitare a una prima reazione psicologica scetticismo o meraviglia. A tutt’altro convincimento si perviene, invece, dopo aver letto lo straordinario libro di Mirella Napodano: “Socrate in classe”, editore Morlacchi-Perugia, già pervenuto alla ristampa.

         Mirella Napodano e il marito Gigi Iandoli, entrambi docenti di filosofia, coltivano l’idea di diffondere le tematiche filosofiche al di là delle mura scolastiche o anche universitarie. Approdano così per prima nelle carceri, per discutere con i detenuti del senso della colpa e della pena. Poi, in collaborazione, si spostano fra i bambini del II° ciclo (terza, quarta e quinta) della scuola elementare e inventano la “Lezione di filosofia”, convinti che bisogna “recuperare l’idea socratica di verità come frutto del dialogo”.

         Ha inizio così nella Scuola Primaria Paritaria “S. Chiara d’Assisi” di Avellino un vero e proprio laboratorio di idee semplici ma essenziali per una vita morale, la cui organizzazione, non priva di videoregistrazioni o della redazione di “Diari di bordo” ad opera degli stessi alunni, si fonda su tre principali cardini:

a) riuniti i bambini sotto la guida di due o tre insegnanti e la direzione del prof. Gigi Iandoli, si racconta loro un mito, una favola, si legge una poesia o una frase tratta da testi filosofici, e comunque si propone un tema idoneo a suscitare considerazioni di ordine etico e comportamentale di notevole valore educativo;

b) i bambini vengono stimolati ad esprimere liberamente il loro pensiero e a ricercare i significati desumibili dal tema proposto, donde nasce un interessante dialogo, quasi un dibattito, tra di loro;

c) gli insegnanti ne seguono attentamente lo svolgimento, e intervengono soltanto per porre ordine nelle discussioni, talora animate da vivaci contrapposizioni di idee, o anche per evitare divagazioni e orientare gli alunni verso una conclusione del discorso, possibilmente conciliativa delle eventuali divergenti opinioni, ma in ogni caso portatrice di forti messaggi.

         L’idea viene accolta e realizzata con entusiasmo dagli scolari, che partecipano assiduamente e con intelligenza ad oltre cinquanta sedute, giungendo a definire la “lezione di filosofia”, molto significativamente, come “l’ora della libertà”. A distanza di qualche anno, scomparso il prof. Gigi, la moglie Mirella ne continua l’opera con grande professionalità, alimentata dall’appassionato ricordo del marito e delle sue originali e interessanti sperimentazioni. Dà quindi alle stampe “Socrate in classe”, nel quale riannoda magistralmente i concetti e i metodi pedagogici fondati sulla efficacia dell’apprendimento dialogico. In particolare, ponendo a base le autentiche “lezioni di filosofia”, ella opera in modo che, per dirla con Goethe, “la macchina dei pensieri sia come il telaio del tessitore, dove i fili scorrono invisibili ed un colpo genera mille collegamenti”. E infatti dal libro di Mirella Napodano è possibile enucleare degli “argomenti-chiave” intorno ai quali ruota tutta l’opera e le considerazioni filosofiche dell’autrice, che non prescindono mai dai dialoghi dei ragazzi, ma ne fanno la trama principale da cui si dipartono a raggiera notevoli riflessioni politiche, pedagogiche e morali, dominate dal principio che la conoscenza si costruisce con il dialogo e l’argomentazione (concetto della “metacognizione”), inframezzate, con discrezione, da alcune massime di grandi pensatori.

         In un primo capitolo (“La filosofia con i ragazzi come nuova paideia”) viene posto in evidenza l’utilizzo del mito nella pratica della filosofia dialogica a scuola e riportato, come annotato nel Diario di bordo, il “Mito di Eros” da Platone, che verrà ripreso anche nel capitolo sesto (“Esplorare l’immaginario”). Rileggendo i passaggi fondamentali le ragazze si soffermano su Eros, figlio di Poros, l’abbondanza, e di Penìa, la povertà, il quale diventa amico di Afrodite. Per le caratteristiche prese da entrambi i genitori, Eros saprebbe apprezzare tutti, sia i sapienti che gli ignoranti e saprebbe parlare sia con il ricco che con il povero. E poi amerebbe l’arte, il bello. Un alunno dà una sua interpretazione: gli dei non invitavano mai Penìa sull’Olimpo perché non volevano conoscere la povertà, ma intanto in tal modo restavano ignoranti. Qualche altro osserva che gli dei erano in errore nel ritenere di sapere già tutto. L’analisi del mito sollecita poi tra i ragazzi molti scambi di battute: considerazioni sul desiderio di conoscere, che può portare anche ad una svolta di vita, sul desiderio di amore che evita un’esistenza vuota, sui desideri positivi e negativi che conducono rispettivamente a scegliere il bene e il male, sulla differenza tra amore e piacere. I docenti bloccano le divagazioni per ricondurre il discorso sul tema centrale: Eros aspira, ama e desidera diversamente dagli altri dei. Poi il dibattito continua sulla differenza tra amore e desiderio e i più si esprimono nel senso che il desiderio è diverso dal sentimento di amore, mentre solo qualche ragazza afferma che nel desiderare c’è sempre un sentimento. Alla fine, dopo una ulteriore rianimazione del dialogo, il conduttore tenta di dare una conclusione: “Desiderare va a braccetto con amare quando lo leghiamo a cose importanti (e spirituali), se invece lo riferiamo a qualcosa di non importante (e materiale), allora no”. Nello stesso capitolo primo, anzi, già dapprincipio è sottolineata l’importanza del dialogo come fonte di rispetto dell’idea dell’altro, che si traduce poi in rispetto dell’altro, dopo l’interessante considerazione di un’alunna (Mariangela) che ci sarebbe monotonia in un mondo in cui tutti gli esseri umani abbiano lo stesso carattere e le stesse idee. Immaginando di essere intervistata sull’esperienza compiuta nel “laboratorio di filosofia” ed interrogata su che cosa ha appreso, la stessa risponde: “Di tutto: a rispettare l’idea dell’altro”.  

         Nel secondo capitolo (“Comunicare, ovvero navigare nel mare delle idee e dei perché”), dopo un accenno all’ “educazione sentimentale” che è stimolata dalla cooperazione laboratoriale l’autrice riporta una seduta nella quale gli alunni (una quinta elementare) sono partiti dal racconto di Pinocchio. C’è subito da meravigliarsi nel notare che essi hanno impostato più di una “quaestio” con la relativa “disputatio”, usando tali termini della filosofia scolastica con inusitata disinvoltura, una volta che li hanno ascoltati dai professori. Alla domanda “è bene farsi sempre convincere?” emerge come risposta quasi unanime il valore della riflessione su ciò che nel dialogo vien detto dall’altro. Il paese dei balocchi è apparso dapprima come quello in cui regna la libertà ma poi, disputando, si è rimasti convinti che piuttosto è “un mondo in cui non ci sono regole ma c’è caos”; un altro bambino ha preferito una definizione più etica che politica: “è quello in cui viviamo che ha tanto di cattivo e vogliamo eliminare”. Su una “quaestio” di tipo differenziale (ricorrente in tutte le “lezioni di filosofia”) concludono nel senso che l’ammaestramento lo si fa senza amore e con la sferza; l’insegnamento lo si fa con amore e perciò gli insegnamenti lasciano l’impronta nella vita. Seguono pagine di riflessione sull’approccio precoce alla metacognizione, essendosi collocato il laboratorio di filosofia dialogica, in cui si impara discutendo, tra Comunicazione, Argomentazione e Metacognizione.

         Nel terzo capitolo (Una relazione dialogica per educare all’ascolto e alla reciprocità), abbandonata la tradizionale credenza che l’educazione si realizza attraverso una sorta di travaso del sapere (che già Socrate aveva contrastato in un divertente episodio narrato da Platone nel “Convito” e riportato dalla stessa Mirella Napodano nel suo precedente libro “Philosophy for children”), e affermato il principio che “la conquista della relatività dei punti di vista costituisce un progresso notevolissimo della personalità infantile”, la lezione di filosofia eleva i suoi livelli, ponendo i piccoli allievi, nel novembre 2002, al confronto con il famoso “Mito della caverna”. Dopo la narrazione, l’ipotesi posta dal docente è che uno degli schiavi legati nella caverna esca fuori: sensazioni di sole, luce, chiarezza, conoscenza, sapienza, contrapposte a tenebre, ignoranza, mancanza di comunicazione. Uscire dalla caverna è una scelta di coraggio anche se rischiosa, mentre è codardo chi resta nella caverna. Nel seguito del dialogo emergono idee quali: contrapposizione tra sole e caverna, dove vengono evidenziati alcuni aspetti positivi della caverna (senso della protezione e della casa, restando nella quale non si conosce però il mondo) e negativi del sole (induzione alla vanità nella supposizione di essere gli unici a conoscere). Da sottolineare il clima collaborativo e la concentrazione costante dei bambini sul problema posto all’inizio dopo la narrazione del “Mito”.



PRESENTE, PASSATO, FUTURO



a)     Si è partiti dalla poesia “In viaggio per Itaca”. Dopo un dialogo tra i bambini si giunge al comune convincimento che non bisogna dimenticare il passato perché è utile per vivere il futuro.

b)    Poi l’esperienza, che è conoscenza, cambiamento, arricchimento, ad un “viaggio”, nel quale bisogna apprendere “Tutto di un po’ “, avendo gli scolari scartato le scelte di apprendere “Di tutto un po’ ” o “Un po’ di tutto”. Il professore conclude nel senso che il presente è la via di mezzo, “la medietà”, tra uno “Spazio d’esperienza” e un “Orizzonte di attesa”, mutuando l’espressione dal filosofo francese Ricoeur.

c)     Esperienza di solitudine e di mancanza di dialogo narrata da un bambino.



AMICIZIA



a)     Partendo dal testo di Aristotele dal titolo “L’Amicizia”, è sorto un dialogo molto articolato sui concetti di affetto, di amicizia come legame d’affetto disinteressato, di compagnia che non si identifica con l’amicizia. Qualcuno ha detto che si può essere disposti a cambiare carattere se così viene chiesto da un amico considerato vero. Di qui qualche altro è passato ad affermare che l’amicizia c’è soltanto quando c’è il rispetto per l’altro. I bambini hanno quindi espresso i seguenti concetti: 1) l’amicizia ha bisogno di equilibrio tra due persone; 2) l’amicizia è un legame familiare; 3) è il pezzo finale di un puzzle che compone una persona; 4) è come il sapere di un contadino ricco di esperienze; 5) è come una maratona. Una ragazza ha finito con l’osservare che l’amico vero trova i tuoi difetti e te li fa notare, mentre l’amico falso li fa notare agli altri.

b)    Partendo dall’idea di uno scolaro per il quale l’amicizia è fondamentale perché rappresenta uno sfogo, il docente ha invitato a riflettere sulla differenza tra sfogo come bisogno e desiderio. Si è parlato poi dell’addomesticamento tra amici e della perdita della indipendenza. Si è concluso dicendo che l’amicizia non deve comportare il soffocamento dell’altro.



LIBERTA’



a)     I bambini hanno svolto alcune considerazioni sulla base della favola “La capra del signor Seguin”, scritta da A. Daudet. Concetti centrali quelli della libertà, del rubare per necessità, della sicurezza e della ingiustizia.

b)    Il dialogo si è poi concentrato ancor di più sulla differenza tra libertà “di” e libertà “da”, in quanto la prima è stata chiamata libertà positiva e la seconda libertà negativa. I ragazzi invece hanno preferito soffermarsi un po’ sulla differenza tra libertà interna, che secondo alcuni di loro sussisterebbe sempre, e libertà esterna. Qualcuno ha osservato che la libertà interna esiste se c’è la conoscenza; qualche altro ha posto l’accento sulla libertà negativa, che sarebbe la più difficile da mettere in atto, come proverebbero i martiri del Risorgimento italiano.



SAPIENZA E SAGGEZZA



a)     Dopo la lettura di una frase di Aristotele (“I giovani diventano sia geometri, sia matematici e sapienti in queste cose, ma sembra che nessuno diventi saggio”) uno dei bambini apre il discorso dicendo che “l’apparenza inganna” e dopo di lui un altro vorrebbe sostituire alla parola “nessuno” del testo aristotelico la parola “alcuni”. Entrambi i ragazzi tentano di sostenere che anche il giovane può essere saggio. I docenti fanno capire ai bambini che la sapienza può essere paragonata alla conoscenza, mentre la saggezza all’esperienza, al comportamento e al modo di essere.

b)    Mentre gli scolari hanno continuato a porsi la domanda se i piccoli o i giovani possono essere saggi, si è risposto loro con un’espressione filosofica: “La conoscenza è necessaria ma non sufficiente per essere saggi”. Qualcuno ha detto che una persona deve essere saggia con il cuore e deve mettere a disposizione le proprie conoscenze per gli altri, aggiungendo che questo significa anche essere "paterni". Ad una domanda provocatoria: “Sarebbe positivo o negativo se tutti nascessero con un manuale di istruzioni per l’uso?”, tutti hanno risposto che sarebbe negativo, perché ognuno saprebbe il proprio destino.





RELAZIONE IN TEMA DI STUDIO DEL COMPORTAMENTO





a)     I bambini vengono interessati a commentare le relazioni intersoggettive che emergono dal racconto “L’ochetta Martina” di K. Lorenz. Vengono colti vari aspetti del dialogo che tra loro si stabilisce, annotando le diverse opinioni dei bambini sul concetto di Imprinting. Si conclude nel senso che esso è importante per entrambi i protagonisti della storia, nel senso che, verificandosi che il comportamento dell’uno “impronta” quello dell’altro, ciascuno riesce a comprendere il comportamento e i modi espressivi altrui, anche nel rapporto tra l’uomo e l’animale. 

b)    L’insegnante arriva a chiarire con l’aiuto dei bambini come l’imprinting sia importante per avere un esempio di come fare le cose, ma sottolinea l’esigenza che per migliorare sé stessi bisogna impegnarsi in prima persona e non subire pedissequamente l’ “impronta” che si riceve dall’altro.

c)     La relazione annota che non tutti gli alunni partecipano attivamente alla discussione.





RELAZIONE SULLE METODOLOGIE DEL DOCENTE





a)     Nel primo incontro la discussione è stata stimolata dalla domanda: “Sarebbe meglio se tutti parlassero la stessa lingua?” Dopo qualche intervento riguardante l’utilità della conoscenza delle lingue, di interessante è emersa qualche metafora, come quella che “Le lingue diverse possono costituire un muro, mentre le lingue uguali possono essere la libertà”.

b)    Nel secondo la domanda dell’insegnante è stata: “E’ possibile vestire i panni dell’altro?” Dopo che i bambini hanno quasi sempre ripreso quanto detto dai compagni, l’insegnante ammonisce che “dentro di noi c’è qualcosa di nascosto che non viene mai fuori perché noi non vogliamo che venga fuori". Un’alunna ha stigmatizzato “qualcosa di nascosto che non è visibile”.

c)     Nel terzo incontro la discussione è partita invece da una favola: quella della cicala e della formica. Si è notata la tendenza alla identificazione di alcuni alunni nella diversa indole dei due insetti. Alla fine i bambini hanno tentato una ipotesi conciliativa: bisogna far sì che tra i due animali si giunga ad un rapporto di amicizia, anche dopo un litigio, come tra persone diverse e che nella vita, come ha detto uno degli scolari, “bisogna lavorare e bisogna divertirsi”.



IL PENSIERO NARRATIVO



a)     Il pensiero narrativo viene ritenuto utile strumento di conoscenza. Lungi dall’essere superato, esso può essere inserito ed utilizzato nel laboratorio di filosofia dialogica, sia perché la narrazione implica l’impegno dell’esperienza e della memoria, sia perché può essere sfruttata per dar vita a prodotti di scrittura creativa che lascia intravedere vissuti autobiografici di notevole intensità emotiva.

b)     In questa “avventura del racconto” si è tornati al “Mito della caverna”. I bambini si sono di nuovo soffermati sulla contrapposizione tra luce e tenebra, tra ignoranza e conoscenza, tra protezione e rischio, tra coraggio e vigliaccheria. Alla fine i bambini hanno in maggioranza affermato di aver capito che sono importanti sia la luce (il sole) che le tenebre (la caverna) ai fini della conoscenza e che, pur dovendo affrontare il nuovo (esempio dello schiavo che viene liberato o preferisce fuggire dalla caverna), nello stesso tempo bisogna conservare le proprie radici.



ESPLORAZIONE DELL’IMMAGINARIO



a)     Nel seguire il percorso della interpretazione di simboli, metafore, allegorie, ancora una volta è apparso utile richiamare l’attenzione degli scolari sui personaggi del “Mito della caverna” e sui possibili significati di quella particolare situazione.

b)    E’ stato interessante notare che i bambini sono riusciti ad affrontare un argomento di non facile comprensione e hanno saputo trasferire spesso il discorso al loro contesto quotidiano. Infatti, un ragazzo ha osservato che stare nella caverna è come stare sempre chiuso nella propria stanza; un altro ha detto che la catena è una metafora, significa che non sono liberi di vedere e capire quello che succede fuori, ciò che è la vera realtà; una bambina ha fatto il paragone con il brutto anatroccolo che la mamma porta sempre nello stagno (la caverna); un’altra disegna la caverna alla lavagna per poi chiedere se ha capito bene la situazione in cui vi sono gli incatenati; un altro ancora dice che "la caverna è come la televisione che a furia di fare pubblicità di un prodotto convince gli spettatori che la bontà del prodotto è proprio quella rappresentata"; infine, a parte qualche divergente osservazione, una bambina ha concluso che si ha una idea iniziale che ci condiziona, bisogna cercare altre notizie (uscire dalla caverna, cioè) per superarla.

c)     Ritornando sul punto da cui si era partiti, ai bambini viene ricordato che a loro viene affidato il compito di inventare un mito.

d)    Infine viene esplorato l’immaginario anche sotto il profilo corporeo e ludico.



LA PAIDEIA RITROVATA



         Il problema educativo – nella prospettiva del dover essere della cultura occidentale – ha avuto a che fare fin dalle origini con l’UTOPIA, espressa nell’Atene di Pericle con la metafora della città perfetta e nella sua capacità di trasformare gli individui in cittadini. Un’intima connessione caratterizza i concetti di repubblica e paideia in Platone, come pure una forte valenza formativa connota la politica in Aristotele. Per contro, la post-modernità ipercomplessa dei nostri giorni sconta l’asimmetria fra un dilagante sviluppo scientifico-tecnologico e una stentata rincorsa etico-politico-educativa, inficiata da relativismo, sfiducia e carenza di senso – che inevitabilmente ricadono sull’antropologia dell’educazione.

         In questa situazione non c’è posto per l’UTOPIA PEDAGOGICA.

         Spettando comunque alla scuola educare i giovani alla cittadinanza etica, ricreando la consapevolezza di un bene comune che merita di essere perseguito con buone pratiche, tra le buone pratiche il LABORATORIO DIALOGICO A VALENZA FILOSOFICA E’ UNA PROPOSTA INNOVATIVA, emotivamente coinvolgente, anche se radicata nella tradizione dialettica ed etica di una cultura ancorata ai valori fondanti della ricerca e della prosocialità.

         Il libro "SOCRATE IN CLASSE" di Mirella Napodano ha un notevole valore pedagogico e sociale. Se la dimensione fondamentale dell’educazione è l’amore per la crescita e la piena autorealizzazione delle creature umane, non vi può essere cura e premura più grande di quella di:

INSEGNARE A PENSARE IN AMBITO COMUNITARIO, FACENDO SPERIMENTARE IL PIU’ PRESTO POSSIBILE L’APPROCCIO FILOSOFICO ALLA CONOSCENZA E ALL’ESISTENZA, RECUPERANDO, ATTRAVERSO FIGURE EMBLEMATICHE DI MITI, FIABE E FAVOLE, IL RAPPORTO AUTENTICO CON LA VITA E LA REALTA’ QUOTIDIANA, UNITAMENTE AL DIRITTO ALLA RIFLESSIONE METACOGNITIVA E FILOSOFICA.



Lavorare a pensare bene: ecco il principio della morale

B. Pascal

Avellino, 25 ottobre 2008                                              Gennaro Iannarone




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