mercoledì 26 ottobre 2016

IL PROCESSO A GESU' (Seconda Edizione)


IL PROCESSO A GESU'

(Conferenza tenuta il 5-6-2003 nel Liceo scientifico di Atripalda, poi revisionata)

        

         Gesù fu arrestato nella giornata di un giovedì che pare si collochi nel giorno tredici del mese di Nissan che corrispondeva al nostro aprile, verso sera, e fu condotto subito davanti al grande sacerdote Hanna. Hanna era il suocero di Caifa, siamo nello stesso edificio dove si riuniva il Sinedrio. Fu portato colà legato dalle guardie dopo l’arresto, che fu un po’ tumultuoso. Infatti, anche se i discepoli scapparono tutti via, pare che Pietro tentò una difesa armata, nel corso della quale avrebbe tagliato l’orecchio ad una guardia del Sinedrio di nome Malco. I discepoli, tranne Pietro e Giovanni, non compariranno più durante tutto il processo, né davanti al Sinedrio, nè durante il processo di Pilato, nè lungo il tragitto fino al Golgota, né al momento della crocifissione, né presso il sepolcro. Sotto la croce voi non ritroverete neppure un discepolo.…tranne Giovanni, che parla di un altro discepolo, oltre Pietro, che seguì Gesù dopo l’arresto. Non lo nomina ma si capisce che è proprio lui, Giovanni. E’ lui, poi, che esplicitamente si colloca sotto la croce. Ed è lo stesso evangelista Giovanni che, a differenza di Matteo, Marco e Luca, racconta dell’interrogatorio di Gesù in casa di Hanna e del colloquio con Pilato, ma  tace del tutto del processo davanti al Sinedrio. Ora, poiché il Vangelo più antico è quello di Marco, dell'anno 70 d. C., e quelli di Matteo e Luca furono ricalcati, con qualche variazione ed ampliamenti, su quello di Marco, tanto che si chiamano “Vangeli  sinottici”, in definitiva su alcune circostanze importantissime, come il processo davanti al Sinedrio, il colloquio con Pilato, la ferita al costato, si hanno due sole versioni a confronto, di Marco e di Giovanni, talvolta in contrasto tra loro, per cui non mancano opere di notevole spessore (“Il caso Gesu'” di Weddig Fricke, editore Rusconi) che negano che il predetto Tribunale religioso ebraico sia intervento nel giudicare e nel condannare Gesu'.

         Il grande sacerdote Hanna gli domandò: “Quali sono le tue dottrine e chi sono i tuoi discepoli”, evidentemente al fine di arrestare tutta la setta. Egli rispose: “Ma a me lo chiedi? Io ho parlato liberamente a tutti, ho parlato nel tempio, non ho mai detto nulla di nascosto a nessuno, vai a chiederlo a quelli che mi hanno ascoltato che cosa io ho detto”. Ho sempre ritenuto che Gesù sia stato un imputato indisponente, ma non in termini negativi bensì nel senso che è stato un imputato di tale dignità da apparire sprezzante. Tanto è vero che una guardia del Sinedrio che gli stava a fianco gli mollò un ceffone, soggiungendo: “Così si risponde al grande sacerdote?”, e Gesù rispose dicendo: “Se ho parlato male, spiegamelo; ma se ho parlato bene, perchè mi percuoti”, grande esempio di razionalità e di forza d'animo in un momento così drammatico. Questo episodio è il solo Giovanni che lo racconta, non si legge negli altri tre Vangeli. In quel momento siamo nello stesso palazzo del Sinedrio, che ha un cortile, c’è un fuoco acceso al centro del cortile perché faceva freddo. Accanto a quel fuoco si fermò a riscaldarsi Pietro, che lì fu riconosciuto come uno dei discepoli, l’unico che lo seguì perchè era il discepolo più di cuore, appassionato. Dalla casa di Hanna subito dopo passarono attraverso il cortile davanti al Tribunale del Sinedrio, perchè si sarebbero riuniti di notte gli anziani ed i grandi sacerdoti che lo componevano. Davanti al Sinedrio sentirono dei testimoni, ma diciamo prima come fu impostato il processo.

         Bisogna prima di tutto sapere che non si può fare un processo senza i capi di imputazione. Che cosa sono i capi d'imputazione? Nei tempi moderni il giudice che accusa un imputato gli deve prima di tutto contestare i fatti di cui lo accusa e deve trattarsi di una contestazione precisa anche nei riferimenti spaziali e temporali. Quali erano i reati di cui Gesù fu chiamato a rispondere? Su tale punto spesso si dicono cose vaghe, difficilmente si entra nello specifico, neppure la Chiesa si sofferma a dare insegnamenti in merito, ma tutto si può ricavare e ricostruire mediante un'attenta ed analitica lettura di quanto è scritto nei Vangeli, confrontando ciò che i quattro evangelisti dicono su un medesimo episodio, per un'analisi del racconto. Va subito detto che quel processo fu del tutto diverso da quelli che si svolgono nelle nostre aule giudiziarie. L'accusa era: quest’uomo ha violato il comandamento di santificare le feste ed ha dissacrato il giorno del Signore, dicendo che di sabato si poteva lavorare se si doveva fare un'opera buona verso il prossimo. Anche in epoca attuale gli islamici osservano il Ramadan, quel mese in cui stanno digiuni e senza lavorare. A quei tempi lavorare di sabato era un delitto grave. Narra Giuseppe Flavio, che ha scritto una Storia della Palestina di quei tempi, che avevano condannato a morte un uomo sorpreso a spaccare la legna di sabato. E Gesù aveva detto invece che era fatto il sabato per l’uomo, che significa che la legge è fatta per l’uomo, non l’uomo per la legge, come fanno i giudici formalisti, che in nome dell'osservanza cieca delle norme sacrificano i diritti inviolabili della persona umana. Imputazioni più gravi furono: quest’uomo ha perdonato una donna sorpresa in flagrante adulterio. Si pensi che dopo duemila anni si è dovuto muovere un mondo intero per salvare dalla pena di morte Amina e Sciamira, due donne condannate a morte in Nigeria per lo stesso peccato, per un errore, diciamoci la verità, comprensibile sul piano umano. In una nazione come la Nigeria, di religione diversa da quella cristiana, è stata applicata la pena di morte per il reato di adulterio, abrogato negli anni sessanta dal nostro codice. Eppure Gesu' fu portato davanti al Sinedrio anche con l'accusa di aver difeso un'adultera. In verità, quando i farisei gli chiesero se dovevano lapidarla o meno, per provocarlo e poi accusarlo di aver violato la legge di Mosè, Gesù si trovò in grande difficoltà, tanto che, preso un pezzo di legno, cominciò a fare degli scarabocchi sulla sabbia per prendere tempo. Dopo aver indugiato alquanto, se ne uscì con quella frase famosa: “Scagli la prima pietra chi è senza peccato”, che distolse i presenti dalla lapidazione. Lui si avvicinò a lei e le disse:  Donna, loro non ti hanno condannato e neppure io ti condanno, va e non peccare più”. Badate bene, non era un perdono vero e proprio, egli trovò una via per non farla uccidere, perchè Gesù era animato soprattutto da un incommensurabile sentimento d’amore verso tutto il prossimo e specialmente verso i peccatori. Vi dico anche un’altra ragione: non ha difeso l’adulterio, nè ha perdonato la donna adultera, perchè lui ha creato il matrimonio su basi solide, indissolubili, ammettendo il ripudio della moglie proprio e soltanto in caso di adulterio. Non la volle far ammazzare perchè aveva il rispetto assoluto della vita umana, della dignità della persona che oggi è un precetto fondamentale della nostra vita sociale: non fare del male agli altri, non offendere, non ingiurare, non ledere l’altrui personalità. Non c’è nessun motivo per pensare che Cristo abbia ammesso quel peccato. Infatti nell’occasione disse: “va e non più peccare”, quindi l’ha considerato un peccato. Come terzo capo d’imputazione fu accusato di aver cacciato i mercanti dal tempio, un errore politico si direbbe oggi perché si pose in quel modo contro la ricca borghesia del tempo e quindi penso che in quella occasione lui pose una prima firma sotto la propria condanna a morte. Ma lo accusarono anche di aver detto: “Io distruggerò questo tempio e lo edificherò in tre giorni” e questo quarto capo d’imputazione fu il più grave di tutti, mentre restava più generica l'accusa di farsela con le prostitute e con i pubblicani, cioè con gli esattori delle tasse per Roma. Un pubblicano, pensate,  era stato Matteo l’evangelista. Gli ebrei non potevano tollerare coloro che esigevano le tasse per Roma; qui s’innesta l’episodio del tributo, quando, alla domanda se il tributo andava pagato, lui rispose: “date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio”. E con queste parole mise una seconda firma sotto la sua condanna a morte, anche perchè così influenzò la scelta finale fra lui e Barabba, come vi spiegherò. Insomma, alla fine non fu ben visto neanche dai suoi connazionali.                                                                                                                                                                                                                                                       Su quella minaccia di distruzione del tempio s’incentrò l’istruzione, cioè sentire dei testimoni. I Vangeli dicono che i testimoni chiamati davanti al Sinedrio non erano concordi e quindi non utili come prova secondo il codice Talmud, il quale prescriveva che per condannare una persona in base ad una testimonianza erano necessari almeno due testi concordi, ma concordi su tutto. Dovevano riferire il giorno, l'ora, il luogo in cui avevano sentito pronunciare quelle parole. Testimoni così non ne trovarono, non erano concordi e allora intervenne il Presidente del Sinedrio, il grande sacerdote Caifa che era come vi ho detto il genero di Hanna. Figuratevi oggi quante questioni di incompatibilità si farebbero in un caso simile: suocero e genero hanno fatto il processo in casa, nello stesso palazzo, l’istruttoria fatta da uno, il processo celebrato da un altro. Caifa teneva certamente un cervello idoneo ad incastrare un imputato. Ed infatti dimostrò di avere grande intuito perchè capì di avere davanti a sé una personalità che era governata dall’utopia di un mondo diverso, dall’utopia di un mondo di amore, da una visione della vita spiritualistica e altissima, dalla visione ed aspirazione al Regno dei cieli. Gesù era soprattutto convinto, perchè i Vangeli lo provano, di essere il Messia, venuto in terra a salvare gli uomini ed a portare le loro anime nel regno dei cieli, per cui Caifa, vista fallita la prova testimoniale, pensò abilmente di provocarlo alla bestemmia e gli pose una domanda di fondo: “Tu sei il Messia?”, e lui rispose “Tu l’hai detto, e vedrai il Figlio dell’uomo sedere alla destra della Potenza”, voleva dire alla destra di Dio, che secondo la Legge non poteva pronunciare. Caifa allora si stracciò le vesti e disse: “Ma che abbiamo bisogno più di testimoni? costui ha bestemmiato ed è reo di morte”,  e tutto il Sinedrio, confermando la condanna, disse: “è reo di morte”.

         Gesù non fu dunque condannato, si badi bene, per i cinque capi d’imputazione che costituivano le originarie accuse. Queste, provate o meno, non valsero per la condanna, valse una sola cosa: aveva commesso davanti al Sinedrio una grave bestemmia, proclamandosi Figlio di Dio. Con questa imputazione lo condannarono alla pena di morte, che però non poteva essere  eseguita senza il beneplacito di Pilato. E che cosa potevano riferire a Pilato? Costui ha detto di essere il figlio di Dio? Pilato era romano, apparteneva ad un’altra religione, se credeva ai suoi dei non lo sappiamo, ma comunque aveva il suo Giove, la sua Minerva, la sua Venere, la sua Giunone, Dio non lo poteva concepiva come gli ebrei. Andargli a dire: guarda che  costui si è proclamato il Messia non significava niente per lui. Perciò, allorquando glielo portarono davanti, dissero che gli avevano portato un malfattore, e poi precisarono che Gesu' diceva di non pagare il tributo a Cesare, sobillava il popolo e si proclamava Re dei giudei. Cambiarono versione rispetto alla condanna del Sinedrio: non “Figlio di Dio”, ma “Re dei giudei”. Fu presentato davanti alla sua persona, ma i giudei non  accedettero al pretorio di Pilato, per non contaminarsi entrando in zona d'infedeli prima della consumazione della Pasqua. Gli chiese Pilato: “Sei il Re dei giudei?” Allora Gesù disse: “Tu lo dici, io sono Re, ma il mio regno non è di questo mondo e sono venuto a predicare la verità”, al che Pilato disse: “ma che cos’è la verità?”. Ma non parlò con serietà, perchè Pilato, da romano, non era incline a riflettere sulle idee astratte della verità o della virtù. Disse “che cos’è la verità” (Quid est Veritas?) quasi fra sé e sé, come se stesse snobbando Gesù, tanto è vero che uscì subito fuori a parlare con i giudei, senza attendere la risposta di lui alla domanda, proprio perché non era una domanda, ma il negare, col tono che usò, che la Verità si potesse definire. Poi tornò nel pretorio. I giudei gli dissero che Gesù doveva morire e che se non lo avesse condannato avrebbero informato l'imperatore. Difatti quando Pilato rientrò nel pretorio, gli disse: senti quante te ne dicono contro. Gesù taceva e questo silenzio meravigliò molto il governatore romano, il quale allora gli disse: “Ma lo sai che da me dipende la tua vita o la tua morte? io ho il potere di farti crocifiggere oppure di salvarti” e lui con calma gli rispose: “Tu non avresti questo potere se non ti venisse all’alto”. Riuscite ad immaginare uno di noi, deboli esseri umani, dinanzi ad uno che ci dice: su di te ho il potere di vita o di morte. Avremmo senz’altro chiesto di essere salvati, no?. Queste sono le parole più grandi che abbia detto Gesù, sono di una forza che affascinò anche Nietzsche, il quale nell’ “Anticristo” scrisse: “Quest’uomo in quel momento ci ha insegnato a vivere, come un imputato tratta i suoi giudici e i suoi carnefici”. Nietzshe lo considera calunniato e quindi allude a giudici prevenuti, che avevano deciso di crocifiggerlo già prima di arrestarlo. Non esistevano avvocati a quei tempi nel processo ebraico, almeno in quello che, come una farsa, celebrarono contro Gesù. L’unico tentativo di salvarlo, suggerito da una raccomandazione ricevuta dalla moglie Procula mentre sedeva in tribunale, lo fece Pilato, facendo scegliere un prigioniero da liberare, verosimilmente sperando che fosse liberato il pacifista Gesù, ma il popolo ebreo scelse Barabba, che era a quanto sembra il capo di un movimento rivoluzionario. Questo movimento tendeva soprattutto a scacciare i Romani dalla Palestina e, capeggiato da tale Eliazar, operò fino all’anno 70, anno in cui l’imperatore Tito fece radere al suolo Gerusalemme. Gli ebrei salvarono Barabba, perchè Barabba apparteneva alla fazione dei falchi non a quella delle colombe, Cristo era invece un pacificatore, come si comprende dal suo Discorso della montagna: “beati i miti, beati i pacificatori”. Entrò in Gerusalemme con il ramoscello d’ulivo, fermò la spada di Pietro dicendo “chi di coltel ferisce, di coltel perisce”. Cosa si poteva aspettare il popolo ebreo da quest’uomo? Guardiamo in concreto. Chi viene salvato nella scelta è l’uomo forte e gli uomini forti erano quelli che volevano la lotta armata contro i romani, erano Barabba e forse anche Giuda. Giuda lo tradì e lo fece catturare perché Gesù aveva assunto una posizione di pacificatore che non avrebbe potuto mai far conseguire al popolo ebraico la liberazione dal dominio di Roma, anche se bsogna dire che la situazione l'aveva vista meglio Gesù, se si pensa alle distruzioni che subì Gerusalemme (la successiva fu quella del 365 d. C., che sul piano religioso fu determinante nel distacco del Cristianesimo dall'Ebraismo). I miei ricordi di quello che una scuola improntata alla fede cattolica insegnava a noi ragazzi sono di un Barabba assassino, brigante, e a noi sembrò un'assurdità la sua liberazione. La verità politica e storica è diversa. Barabba era stato infatti arrestato perchè aveva ucciso una persona in un tumulto per motivi politici, era cioè un terrorista, un prigioniero politico (qualche studioso sostiene che  avrebbe partecipato insieme a Gesù alla cacciata dei mercanti dal tempio), e lo salvarono perchè da lui si potevano aspettare qualcosa, non da Gesù, il quale predicava di amare il proprio nemico, e dal quale quindi non si poteva sperare che predicasse l'odio contro i Romani.

         Questo è il processo a Gesù. Poi c'è da aggiungere qualcosa, nel contesto di questa condanna, sulla valorizzazione della donna ad opera del Cristo. Ebbene, i Vangeli hanno reso le donne testimoni della Resurrezione. Chi va al sepolcro all’alba della terza mattina? Sono tre donne. Ho letto pure cosa dice il Vangelo di Giovanni, però le mie idee cristologiche non concordano e chiedo scusa ai credenti: Maria, la Madonna, sotto la croce non c’è. La madre non c’è lungo la “Via crucis”, perchè altrimenti avremmo dovuto trovare nel racconto evangelico qualche cenno al verosimile strazio di una madre che segue un figlio portato alla croce. C’è invece un’altra donna, la Veronica, che gli va incontro per asciugargli il viso madido di sudore e di sangue, fermandone così l’immagine. I Vangeli sinottici (Matteo, Luca, Marco) dicono: le donne osservavano da lontano. Sotto la croce vi sono tre donne, secondo l’evangelista Matteo esse sono Maria Maddalena, Maria la madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo; secondo Marco, oltre alle prime due, c’era una certa Salomè, Luca parla genericamente delle donne che avevano seguito Gesù dalla Galilea, secondo l’evangelista Giovanni sotto la croce ci sono: la madre, la sorella di sua madre, detta Maria di Cleopa e Maria Maddalena. Giovanni si colloca anche lui a fianco a Maria, tanto che fa dire a Gesù: “Madre, questo è tuo figlio, figlio, questa è tua madre”. Notevoli sono gli argomenti che rendono inverosimili le presenze della Madonna e del discepolo Giovanni sotto la croce: se l’arresto fu del giovedì sera, dopo la cena, ci voleva il tempo perché la notizia giungesse a Nazareth, a 93 chilometri di distanza da Gerusalemme, ed altro tempo avrebbe impiegato Maria per raggiungere il Golgota. Da Nazareth a Gerusalemme ci voleva una giornata di cammino, come ci informa Luca quando parla del fanciullo Gesù che si trattenne nel tempio con i dottori della legge all’insaputa dei genitori. Se tra l'arresto e la morte, che avvenne alle ore 3 pomeridiane, intercorsero al massimo una ventina di ore, tali tempi necessari perché Maria potesse raggiungere il Golgota mancavano assolutamente. Quanti alla presenza di Giovanni sotto la Croce, sembra strano che un discepolo si sia esposto al rischio di essere facilmente identificato ed arrestato. Infine, a parte l’assenza della Madonna lungo la “Via crucis”, pare strana anche l’assenza di lei  presso il sepolcro al momento della Resurrezione, non parlandone nessuno degli evangelisti e quella alla cena di Emmaus, dopo la Resurrezione. Non manca tuttavia qualche argomento per sostenere che potrebbe essere in parte vero quanto afferma Giovanni. La Madonna poteva trovarsi non a Nazareth ma ad Emmaus, distante qualche chilometro da Gesusalemme, presso la sorella Maria di Cleopa, che lo stesso Giovanni colloca sotto la croce insieme alla madre di Gesù. Anzi, il fatto che sia la madre che Maria di Cleopa compaiono soltanto nel Vangelo di Giovanni potrebbe essere di conforto alla ipotesi che le due donne siano venute insieme dalla più vicina Emmaus. L’assenza lungo la “Via crucis” potrebbe essere spiegata con un ritardo nell’apprendimento della notizia e la visita al sepolcro sarebbe riconducibile ad una spontanea ed autonoma iniziativa di Maria Maddalena e delle altre donne, rimasta ignota alla madre di Gesù. La temerarietà di Giovanni sarebbe esclusa, se è lui il discepolo conosciuto dal grande sacerdote, di cui si parla nello stesso evangelo poco prima dell’interrogatorio notturno. Resta pur sempre qualche interrogativo, ad esempio sul perché Gesù si sia mostrato, dopo la Resurrezione, alla Maddalena piuttosto che alla madre, pur avendola vista sotto la croce con il discepolo prediletto. Nascono dubbi insuperabili sulla presenza di Maria dalla sua assenza al sepolcro, alla cena di Emmaus. Inoltre alcuni episodi molto significativi hanno colpito la mia attenzione critica, come quello della visita della madre e dei fratelli nel momento in cui era attorniato da una grande moltitudine e lui nulla fece per riceverla e salutarla. Quando  un messaggero gli disse: “ci sono tua madre e i tuoi fratelli”, lui rispose: “chi sono mia madre e i miei fratelli? mia madre e i miei fratelli sono quelli che mi seguono”; una donna alla quale lui aveva fermato un flusso di sangue dal quale nessun medico l'aveva guarita, gli disse per gratitudine: “beato il ventre che ti portò e le mammelle che succhiasti”, ma lui rispose: “beato il padre mio che è nei cieli”. Ma lo sentite quest’uomo che per ben due volte il riferimento alla madre non lo vuol sentire, come se non gli facesse piacere sentir parlare della madre? Nel vecchio testamento sta scritto: onora il padre e la madre. A me non pare che queste parole di Gesù siano un modo accettabile di onorare la madre.

         Torniamo alla “Via crucis”. Oltre le donne che lo seguono, c’è l’uomo di Cirene che lo aiuta a portare la croce. Pietro non c’era, poiché si era allontanato dal palazzo del Sinedrio per non essere arrestato e non si era più visto, salvo a ritrovarlo poi, con Giovanni, presso il sepolcro. Si sarebbe fatto poi crocifiggere a Roma a testa in giù, che grande figura pure questa di Pietro, nonostante la rinnegazione. Se lungo la strada c’erano ad osservare da lontano le donne che erano venute con lui dalla Galilea per accudirlo, non vi è menzione invece, stranamente per noi, di altre donne che erano state molto vicine a Gesù durante la predicazione: Marta e Maria di Betania. Betania è un paesino alle porte di Gerusalemme. Quando i farisei lo accusavano che se la faceva con le prostitute, probabilmente alludevano alle donne di quella casa di Betania, che lui frequentava spesso, pernottandovi anche. Si chiamava la casa di Simone il lebbroso, nella quale compare la figura di una “peccatrice” che lui perdona. I figli di Simone erano: Maria, Marta e Lazzaro, che lui aveva resuscitato dalla morte. Si deduce dalla lettura dei vangeli che egli aveva rapporti molto cordiali con Marta e con Maria. Comunque Maria di Magdala, cioè Maria Maddalena, che egli aveva conosciuto probabilmente agli inizi della sua predicazione, poiché Magdala è un paesino che si trova tra Cafarnao e il lago di Tiberiade, a 18 chilometri da Nazareth, è la donna che aveva sempre al suo fianco ed è quella certamente presente sotto la croce, perchè tutti gli evangelisti concordemente la nominano, così come tutti la indicano concordemente come una delle pie donne che si recarono al sepolcro la mattina del terzo giorno. Ed a proposito di Maria Maddalena desidero fare un riferimento, il solo che mi consento, ai vangeli apocrifi. E'  interessante un passo del vangelo detto di Filippo, che dice: “erano tre che andavano sempre con il Signore, sua madre Maria, sua sorella, sembra la sorella di Maria e la Maddalena, detta sua consorte. La consorte di Cristo è Maria Maddalena. Il Signore amava Maria più di tutti i discepoli e la baciava spesso sulla bocca”. Sono le parole testuali del Vangelo di Filippo. Gli altri discepoli allora gli dissero: “perchè ami lei più di tutti noi?”. Il Salvatore rispose e disse loro: “perché, non amo voi tutti come lei?”, avendo capito che si erano un po' ingelositi. Nel commento a questo testo vi è un cenno ad una sorta di legame sentimentale con Maria di Betania, sorella di Lazzaro… Dice il commento: quanto ad un legame affettivo tra Gesù e Maria Maddalena, confusa con Maria di Betania, vi sono altre testimonianze apocrife suggestionate dal delicato passo di Luca. Che dice Luca, che è Vangelo della Chiesa? “un giorno Gesù mentre entrava in un villaggio una donna di nome Marta lo accolse in casa sua; costei aveva una sorella chiamata Maria, la quale seduta ai piedi del Signore, stava lì ad ascoltare la sua parola”. Mi fermo qui a riflettere. Stava ai piedi di Gesù ad ascoltare. Che si tratti della casa di Betania è certo, anche se l’evangelista Luca non lo dice. E nella casa di Betania, prima di entrare in Gerusalemme, venne cosparso di profumo da una donna, lo dicono anche gli altri evangelisti Marco e Matteo. Giovanni dice: “la donna che lo cosparse di profumo di mirra era Maria” Maria di Betania, non Maria Maddalena. Era Maria la donna che lo unse di profumo, tanto che sorse tutta una scena di gelosia con Giuda, che era presente, perchè la Maria aveva anche asciugato con i suoi capelli i piedi di Gesù su cui erano cadute gocce di profumo. La chiamano “Unzione di Betania”, una sorta di investitura del leader, prima  che entrasse in Gerusalemme. In particolare, Giuda disse: “Ma perchè tutto questo spreco! questo profumo si poteva vendere e avremmo guadagnato trecento denari, che si potevano dare ai poveri!” Al che Gesù rispose: “i poveri li avrete sempre con voi, me no!”. Restiamo un momento in questo episodio della “Unzione di Betania”. E’ provato dunque dai testi evangelici che siamo nella casa detta di Simone il lebbroso, nella casa di Lazzaro, l’unica persona che lui fece risorgere da morte. Vi immaginate quante persone gli avranno chiesto la resurrezione dalla morte di persone care? Lo fece solo per Lazzaro questo miracolo, che fu il suo più grande miracolo e che non può non ricondurre il pensiero e la riflessione alla sua Resurrezione! Completando il discorso intorno a questa casa, che certamente gli fu molto vicina nella settimana santa, con richiamo a ciò che racconta Luca (10, 38), lì c’era questa Maria che s’inginocchia ai suoi piedi e lo ascolta estasiata dalle sue parole. Mentre lo ascoltava Marta apparecchiava e siccome doveva essere molto impegnativo quel servizio di ospitalità, ad un certo punto disse: “Signore a te non importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? dille dunque che mi aiuti”, ma il Signore le rispose: “Marta…Marta, tu ti affanni e ti agiti per troppe cose, mentre una sola è necessaria, Maria infatti ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”. Voleva dire, insomma, ha scelto di ascoltare la mia parola e nessuno deve privarla di questa sua scelta. Era quella parola d’amore che affascinava chiunque la ascoltasse, uomo o donna non importa, o, per dir meglio, chiunque la sapesse ascoltare. Eppoi il significativo episodio della Veronica, che va incontro ad una persona che grondava sangue con una corona di spine per prendergli il calco del viso! E Maria Maddalena? Era divorziata dal cognato, Gesù l’aveva liberata da sette demoni, era una donna che forse aveva conosciuto altri amori, ebbene quella donna, Maria di Magdala, ha amato profondamente Gesù, seguendolo fino alla visita al sepolcro ed anche oltre, avendo lui voluto mostrarsi per prima soltanto a lei dopo la Resurrezione. E’ un passo effettivamente delicato quello di Luca, fine, bello, non c’è nulla di fisico però fra Gesù e Maria di Betania,  torno a dire, c’è soltanto un uomo che affascina soprattutto con la parola, un uomo amante della buona tavola, come lui stesso dice nei vangeli: “e’ venuto Giovanni, cioè Giovanni battista, e dicevano (voleva dire i farisei e gli altri suoi detrattori) che non mangiava e non beveva, è venuto il Figlio dell’uomo e dicono che è mangione e bevone”. Quindi Gesù aveva la fama di essere amante della buona tavola ed anche del vino. Aggiungo che a Gesù doveva piacere pure intrattenersi a tavola: ci sono le nozze di Cana, dove trasforma l’acqua in vino, c’è la moltiplicazione dei pani e dei pesci, e gli piacque far apparecchiare in luogo sicuro anche l’ultima cena. Un uomo amante della vita, insomma un uomo vero! Perciò la sua figura appare ancora più grande nel momento in cui va incontro alla croce e non la rifiuta, anzi l’accetta con sfida, con quelle indimenticabili parole con cui rispose all’arroganza del potere di Pilato. Pare, inoltre, che fosse bello, o quanto meno alto e dall’aspetto maestoso. Quando lo andarono ad arrestare, le guardie chiesero: chi è Gesù il Nazoreo? lui rispose “sono io!” e subito dopo replicò con forza: “Vi ho detto che sono io! lasciate stare gli altri”, così salvando i discepoli. Fu allora, narrano sempre i Vangeli canonici che le guardie indietreggiarono e caddero a terra…che cosa avevano visto? avevano visto, secondo me, quella persona maestosa che appare dalla Sindone, metri 1,77 di altezza sono le dimensioni dell’uomo della Sindone. Io alla Sindone ci credo quasi, eh?! E comunque, anche se è un falso, è una riproduzione perfetta di quella originale, menzionata nel Vangelo di Giovanni, vista da Pietro nel sepolcro, distinta dai pannilini e piegata a parte.

         Non posso tacere del tutto sulla Resurrezione, pur essendo la mia una visione razionalistica del processo che subì Gesù. Tuttavia, questo argomento aiuta molto nel percorso del recupero di una figura di Gesù vero uomo. Tuttavia, si può pervenire al convincimento che quest’uomo fosse munito di poteri taumaturgici sovrumani, con quelle fortissime radiazioni che provenivano dalle sue mani e persino dalle sue vesti, tanto che quella donna cui ho accennato, affetta da una inarrestabile emorragia, era guarita appena era riuscita a toccarle. E in quella precisa circostanza Gesù aveva detto ai discepoli, increduli, che qualcuno l'aveva toccato perché aveva sentito uscire da sé una forza, pur non avendo vistro la donna, che poco dopo, girandosi, avrebbe visto. E' un episodio, noto come quello dell' “emorroissa”, di grandissima suggestione ed importanza. Si può pensare che egli abbia emanato una grandissima irradiazione, calcolata in termini di gradi, sul lenzuolo con cui fu avvolto il suo cadavere, a tutti noto come la Santa Sindone, sulla quale sono stati scritti molti libri, dalla cui lettura emerge che l’immagine di Gesù è stampata in negativo, vale a dire come il negativo di una fotografia. Si son fatte tante prove per riprodurre quell’immagine in negativo, ma nessuno c’è riuscito. Alcuni scienziati, la scienza a volte aiuta la fede…è vero, hanno detto infatti che c’era stata una forte irradiazione di calore, un’energia fortissima che avrebbe impresso su quel lenzuolo l’immagine di lui e qualcuno è giunto persino a dire che il maggior calco dell’immagine risulterebbe impresso sulla parte superiore del lenzuolo...potrebbe essere interpretato come un segno di elevazione……., io non credo alla Resurrezione, però a pensare questa cosa mi vengono i brividi. Per chi sta sul cammino della ricerca della fede, la scienza può dare una guida e un sostegno. Hanno fatto degli accertamenti con il carbonio C/14 e  qualcosa di sconvolgente è venuto fuori dagli esperimenti su quella immagine. Ci sono questi segni di irradiazione verso l’alto, i quali vorrebbero significare una elevazione dal sepolcro….!

         Ma la mia razionalità riprende il sopravvento, non riesco a credere ad una resurrezione della carne, ma soltanto a trasmettervi, a questo punto, una mia concezione teologica della resurrezione, poiché la stessa parola “Teologia” mi consente una interpretazione di quel mistero che non è lontana dalla logica, verso cui è incondizionato il mio rispetto. Ebbene, a coloro che dubitano propongo: sulla Croce muore il Dio biblico, Javeh, il Dio del diluvio, il Dio che ordina ad Abramo di uccidere il figlio Isacco, il Dio ch’era vendicativo al pari degli dei dell’Olimpo, e risorge il Dio dell’amore, che amava l’uomo, il Dio del giardino terrestre, qual era prima che ne cacciasse Adamo ed Eva, il Dio misericordioso, il Dio che si era incarnato in Gesù, non secondo la dottrina della Fede, voglio dire incarnato nella dottrina dell’amore predicata da Gesù. Il Dio buono è già risorto nel momento in cui, parlando per bocca di Gesù, dice: “Perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

Siamo al di qua della cacciata dal giardino terrestre, ma nel momento in cui Adamo ed Eva non hanno ancora mangiato il frutto dell'albero della conoscenza (anche di loro si può ritenere che “non sanno quello che fanno” nell'atto della disobbedienza a Dio). 

         E' una mia idea. Spero che sia accettata quanto meno come segno di “religiosità”, che, se non si identifica con la Fede, è pur sempre un valore altamente spirituale che aiuta nella vita e salva l'anima dell'uomo dall'isolamento a cui inerorabilmente si va incontro.

Mercogliano 11 febbraio 2015 (revisione della registrazione del 5-6-2003)

Gennaro  Iannarone

N. B. Si conferma che la vicenda del processo a Gesù è stata ricostruita sulla base dei Vangeli canonici, con la sola eccezione del richiamo al Vangelo apocrifo di Filippo.


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