Antonietta Gnerre: “Meditazione poetica e teologica in Mario Luzi”
(Commento di Gennaro Iannarone)
Preceduto da alcune
puntuali osservazioni (“Dialogo con
l’eterno”) del poeta irpino Cosimo Caputo, il saggio di Antonietta Gnerre “Meditazione Poetica e Teologica in Mario
Luzi”, presentato il 31 ottobre u.s. nella Sala Consiliare di Prata
P.U., paese natio e di residenza della scrittrice, dai relatori Alessandro Di
Napoli, Gennaro Iannarone e Paolo Saggese, con la partecipazione di S.E.
Francesco Marino, Vescovo di Avellino, costituisce un’opera pregevole, perché,
a qualche anno dalla morte del poeta fiorentino, ne coglie limpidamente
l’essenza spirituale, senza trascurare di tracciare in modo chiaro e completo
il cammino che ha segnato la vita creativa di Mario Luzi, dalla poesia ermetica
alla dimensione religiosa.
Il saggio, accattivante
sia per la succosa brevità che per la particolare personalità dell’Autrice, la
quale ha saputo guardare ai contenuti poetici con la sensibilità che le
proviene dai suoi studi teologici, oltre che dall’essere anche lei una
poetessa, è costituito da tre Capitoli e da una breve Conclusione. Il primo
capitolo è intitolato: “Dalla poesia
ermetica alla dimensione religiosa” ed è suddiviso in due paragrafi: 1.1
“Il primo Luzi” e 1.2 “Un autore illuminato”. Il secondo capitolo è intitolato:
“Due esempi di poesia religiosa” ed è
suddiviso anch’esso in due paragrafi: 2.1: “Il viaggio dell’anima” (“Viaggio
terrestre e celeste di Simone Martini”) e 2.2: “La Passione” (“Morte e
Resurrezione di un uomo”). Il terzo capitolo “L’ultimo Luzi. La dimensione religiosa” consta invece di tre
paragrafi: 3.1: “Nell’agone del mondo”, 3.2: “L’apprendistato di un
principiante” e 3.3: “Pellegrino alla fine del viaggio”.
Il primo problema che si
è posto all’Autrice è stato quello di ripercorrere e di rivedere in chiave
religiosa le prime esperienze del poeta Luzi, indubbiamente di stampo ermetico.
Antonietta Gnerre ha preferito non definire l’Ermetismo, se non riportando il
pensiero di altri autori (soprattutto Francesco Flora, che in un saggio del
1936 definì “ermetica” una corrente di poesia tendente alle forme chiuse,
difficilmente intelligibili o addirittura oscura), ma ha correttamente intuito
che la poetica di Mario Luzi, è, da un lato, così singolare da non poter essere
racchiusa in astratte formule, e che, dall’altro, in ogni caso, anche a volerlo
inquadrare nella menzionata corrente di poesia, il suo Ermetismo del primo
periodo ha un “costrutto che approda ad esiti diversi”. In particolare, secondo
la nostra saggista, Mario Luzi meriterebbe un posto a sé tra gli ermetici in
quanto egli supera attraverso la fede una “letteratura del corridoio di penosa
misura”, come egli stesso scriveva. Infatti, nel quadro generale della poesia
del Novecento, nonostante essa presenti una tendenza materialista e
desacralizzante, avrebbe colto un’aleggiante istanza di recupero dell’immenso
patrimonio di segno religioso. Perciò lei accenna a numerosi e notevoli
richiami letterari (Foscolo, Manzoni, Leopardi, Campana, Rebora, Ungaretti,
Montale, Tosatti, Quasimodo, Gatto, Sinisgalli ed altri) al fine di comprovare,
da un lato, che una rivoluzione profonda attraversa il senso stesso della
poesia fin dal Romanticismo, nella direzione di una suggestione del “mistero” e
di una “tensione mistica e del trascendente”, e, dall’altro, che l’ermetismo di
Luzi del primo periodo rivela una evidente diversità, pur nell’ampio panorama
della poesia ermetica, perché ha per radice ideologica l’esistenzialismo
cristiano, con le tipiche tensioni verso un assoluto religioso che consente di
interpretare il male storico nella prospettiva dell’eterno e della
trascendenza.
Orbene, è vero che in
alcune poesie dei primordi e comunque meno recenti si colgono dei richiami alla
Vergine Maria, a Dio, al Paradiso, o in senso classico all’Ade e ai Campi Elisi
(“Anima…, volgi gli occhi della Vergine
sul cuore dei fanciulli soli, stendi le sue vesti celesti sulla loro nudità.”, in “Primavera degli orfani”, “la Madonna dagli occhi trasparenti scende
adagio incontro ai morenti” in “Alla vita”, “…le messi nei campi gialli, salendo a Dio saranno nelle sue mani come un
fiore” in “Le meste comari di Samprugnano”, “Ma ormai dove sono – oltre il Lete bisbigliano – gli amici per le
strade segrete con le mani serene e vagabonde? in “Passi”, “Già colgono i neri fiori dell’Ade” nella
omonima poesia, “…il tuo piede cupo di
cui l’eco s’intreccia col fiume dal lento corso Cocito.”, in “Già goccia la
grigia rosa il suo fuoco”, “..lunghi
sorsi di febbre dai colori di Dite che attraversano il cielo fulminando…”
in “Un brindisi”, “Senza un grido, né un
sorriso per me lungo le sorde tue strade che conducono all’Eliso..”, in
“Memoria di Firenze”. Sembra troppo poco, tuttavia, per poter parlare già di
atmosfere da ideologico esistenzialismo cristiano. Con maggior cautela si
potrebbe dire che si tratta di versi ispirati da stati d’animo tristi o
inquieti, più spesso intrisi di un’atmosfera cupa e di mistero, con il che si
conferma una delle caratteristiche originarie e più profonde dell’ermetismo,
derivante nel suo stesso etimo dal dio (Ermes) che tra le sue prerogative aveva
anche quella di accompagnare le anime dei defunti fino all’Ade. Una poesia nata
tra le due guerre mondiali, espressione di un senso oscuro, criptico della
realtà, chiusa nel mistero della parola come nella imperscrutabilità
dell’Assoluto, nel quale è indubbiamente incluso il trascendente.
Un’anima religiosa,
tormentata dal male e dal dolore del mondo e dalla loro sottaciuta
inspiegabilità, alimentata da una speranza di salvezza che appare
irraggiungibile, un’anima poeticamente protesa nella ricerca di una verità di
fede fondamentalmente cristiana, è invece quella che con maggiore certezza si
ritrova nel Luzi del “Viaggio terrestre
e celeste di Simone Martini” e, ancor più, nelle opere degli ultimi anni, “La
Passione”, scritto per la Via crucis della Pasqua 1999, e “Dottrina dell’estremo principiante” del 2004, tre passaggi di vita e di
creatività poetica ai quali giustamente l’Autrice ha attribuito la maggiore
importanza nelle linee essenziali del suo saggio, completato dall’accenno ad un
testo di conversazioni sul Cristianesimo (“La porta del cielo”) e dall’ultimo
suo componimento, “Il Termine”, scritto qualche attimo prima della morte.
Il “Viaggio” lo si
comprende sul piano poetico e su quello umano soltanto se si riesce a vedere
una “identificazione” dell’uomo Mario
Luzi nell’uomo Simone Martini e, nel contempo, una reciproca fusione dell’Arte
poetica del primo nell’Arte pittorica del secondo, e, correlativamente, i
traguardi cui perviene il loro cammino, il loro viaggio, nella vita e nella
creazione artistica. Non solo non è difficile, ma è anche bella ed esaltante
questa visione, certamente tra le più alte espressioni dell’intera opera
poetica di Mario Luzi, per chi si accosti ai due artisti con animo ingenuo e
con una sensibilità “religiosa” che accompagni e sorregga la curiosità della
conoscenza, per chi cominci con il collocarsi al punto di partenza di un
pellegrinaggio, con la volontà di compierlo “sulle ali del canto”, in una
carovana che parte da Avignone e per vie tortuose, attraverso varie tappe,
giunge finalmente a Siena.
E’ questa la posizione in
cui si è posta Antonietta Gnerre, con il sostegno operoso dei suoi studi di
Teologia, ma soprattutto con l’entusiasmo della sua fede, giammai disgiunta da
un sincero sentimento di amore e di quasi estatica ammirazione verso il Poeta.
Tuttavia, in questo innegabile pellegrinaggio ideale, va pur detto che quell’entusiasmo
ha giocato un ruolo decisivo sulle proporzioni delle parti del saggio, nel
senso che alla silloge poeticamente più elevata del Viaggio di Simone non è
stata da lei dedicata un’analisi così ampia come agli altri componimenti
enucleabili dall’intera opera. Probabilmente perché l’Autrice, sorretta e sospinta
da un vivo sentimento fideistico (tra le sue opere poetiche è da ricordare,
perfettamente in tema, la “Preghiera di una poetessa”), si è sentita più
attratta, come si ricava dalle maggiori proporzioni degli altri capitoli del saggio,
e persino dal titolo di taluno (“Un autore illuminato”; “un uomo di fede”), dal
poemetto “La Passione”, o dalla “Dottrina dell’estremo principiante”, o dalla
Conversazione sul Cristianesimo (“La porta del cielo”), oppure ancora dalle “Poesie
ritrovate”. In tutti questi testi sembra, invece, che l’ispirazione poetica abbia
ceduto il passo al verso “ragionato”, accettando talvolta una “sfida ontologica”,
ed assumendo tal’altra una “impronta liturgica”, secondo un pensiero critico di
Lorenzo Mondo a cui lei stessa ha fatto richiamo.
Ad ogni modo, Antonietta
Gnerre rimane pur sempre una “pellegrina” del Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini perché con questo
spirito si è dedicata al suo ammirevole libro, proprio come se avesse iniziato
anche lei una sorta di pellegrinaggio letterario, insieme con il Poeta e con il
Pittore, non nelle vesti di taluna delle donne che seguono il percorso, ma
piuttosto, come piace collocarla, in quelle dell’Estudiant (una studentessa di
Teologia, perché no?, alla quale, però sarebbe difficile far accettare versi
come “…Ma tutto si consuma in sé, materia
e arte, materia e fede in questa trasmutabile spera”, che è la quarta
peregrinazione dell’Estudiant, ma racchiude un nucleo essenziale della poetica
luziana, anche se non il solo della tormentata avventura del suo spirito
religioso). Sorretta da questa forza ideale, molto probabilmente ella ha visto
di più e meglio di tanti altri dubbiosi pellegrini che abbiano voluto farsi
prendere per mano dal nostro poeta per attraversare con lui circa sessant’anni
di poesia e di ricerca dell’Assoluto, ma non hanno saputo dismettere la lente
dell’analisi fredda e razionale. Antonietta Gnerre invece ha scritto a commento
di questa silloge luziana cinque brevi ma intense pagine di gioia che
scaturiscono dalla visione fascinosa di incantevoli paesaggi e di dipinti
sublimi. Al termine, non si è fermata a Siena, come non si dovrebbero fermare,
credo, tutti coloro che intendano proseguire il viaggio, se è quello
dell’anima, fin davanti all’Annunciazione di Simone Martini, in una costante
speranza di ori, di luce e di tempi migliori per l’uomo.
Avellino 31.10.08 Gennaro Iannarone
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