PROCESSO A GESÙ
(Incontro del Giudice Gennaro Iannarone con gli studenti
sul “Processo a Gesù” e intervento di S.E. Mons. Giovanni
D’Alise, Vescovo di Ariano Irpino)
“La
figura umana di Gesù”
Giudice Iannarone
Cari ragazzi, la mia visione
del Processo a Gesù è diversa da quella della Chiesa Cattolica. Io sono affascinato
in modo sconvolgente dalla figura di Gesù e ritengo che, in generale, quando lo
si riguarda come Figlio di Dio, quando lo si dogmatizza, la visione affascinata
si appanna e la passione per lui si attenua. Perciò voglio tentare, attraverso
il racconto del suo processo, di farvi riscoprire la figura umana di Gesù,
perché lui si è rivelato come un uomo di grandezza incommensurabile proprio nel
momento in cui ha sofferto di più, dandoci così modo di cogliere i valori della
più alta dignità umana, del grande coraggio con cui affrontò i suoi giudici,
dell’amore verso i discepoli, del perdono dei suoi carnefici.
Gesù fu arrestato la sera di
un giorno che corrisponde al nostro giovedì santo, il giorno 12 del mese di nissan, il nostro aprile. Appena
arrestato, venne condotto davanti al grande sacerdote Hanna, il quale gli
domandò: “Quali sono le tue dottrine e
chi sono i tuoi discepoli?” I discepoli erano tutti fuggiti via al momento
dell’arresto, e perciò la domanda tendeva ad identificarli per poi catturare
anche loro. Pare che sul posto sia rimasto per brevissimo tempo solo Pietro,
che tentò anche una difesa armata, ma Gesù lo avrebbe fermato con le parole: “Chi di coltel ferisce, di coltel perisce”,
dicendo nel contempo alle guardie del Sinedrio: “io sono la persona che cercate, sono io Gesù il Nazoreo, lasciate stare
gli altri”, due grandi esempi di altruismo e di ripudio della violenza!
Anche sotto la Croce non si ritrova neppure un discepolo... tranne Giovanni,
che fin dal momento dell’arresto parla di un altro discepolo, oltre Pietro, che
seguì Gesù fino al cortile del palazzo del Sinedrio, ove si svolse
l’interrogatorio di Hanna. Il Vangelo di Giovanni è l’unico a dire che c’era
con Pietro un altro discepolo, quello che Gesù amava, e questo fa capire che è
proprio lui, Giovanni.
C’è di più. Fu lui che,
essendo conosciuto dal gran sacerdote, chiese il permesso alla portinaia di far
entrare Pietro nel cortile del palazzo. Si potrebbe qui azzardare una
supposizione, e cioè che, frequentando il luogo dov’era la sede del Tribunale
religioso, Giovanni potrebbe aver notato colà la presenza di Giuda quando si
discuteva della necessaria cattura di Gesù e abbia perciò avvertito il suo
Maestro del pericolo di tradimento, poi rivelato durante l’ultima cena. Sembra
trovarsi un riscontro nel Cenacolo di Leonardo da Vinci, dove Pietro si accosta
a Giovanni per chiedere se sa chi sia il traditore e Giovanni porge a Pietro
l’orecchio destro. Ad Hanna, dunque, che lo interrogava Gesù rispose: “Ma a me lo chiedi? Io ho parlato liberamente
a tutti, ho parlato nel tempio, non ho mai detto nulla di nascosto a nessuno,
vai a chiederlo a quelli che mi hanno ascoltato che cosa io ho detto”.
Notate, Gesù si comportò con tale superiorità e dignitoso distacco da apparire
sprezzante. Si potrebbe dire che fu un imputato indisponente, tanto è vero che
una guardia del Sinedrio gli mollò un ceffone, soggiungendo: “Così si risponde al grande sacerdote?”
Lui allora rispose: “Se ho parlato male,
spiegamelo; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?”, altro grande
esempio, di pacatezza e di coerenza (“Beati
i miti...”), oltre che di razionalità, pur trovandosi in una situazione più
che drammatica! In quel momento ci si trovava, come ho detto, nel palazzo del
Sinedrio; al centro del cortile c’era un fuoco acceso perché faceva freddo e
accanto a quel fuoco si era fermato a riscaldarsi Pietro, il discepolo più appassionato
ed impulsivo, che lo seguì coraggiosamente, anche se proprio in quel cortile lo
rinnegò tre volte. È lo stesso discepolo che, insieme a Giovanni, accorrerà al
sepolcro quando Maria Maddalena li avverte che lì il corpo di Gesù non c’è più.
Portato davanti al Sinedrio,
ebbe inizio il processo vero e proprio. Ma di quali reati accusavano
quest’uomo? Guardate, ragazzi, un processo non si può fare senza i capi di
imputazione, i quali erano in quel processo:
ha dissacrato il giorno
del Signore perché ha detto che nel giorno del Sabato si può lavorare. Gesù
aveva esaltato i principi di solidarietà e di fraternità, poiché aveva detto
che di sabato si poteva lavorare se si trattava di compiere una buona azione.
Pure adesso gli islamici fanno il Ramadan, stando digiuni e senza far niente. A
quei tempi lavorare di sabato era un delitto grave. Narra Giuseppe Flavio, che
ha scritto una storia della Palestina di quei tempi, che era stato condannato a
morte un uomo sorpreso a spaccare la legna di sabato. E Gesù aveva detto invece
che era fatto il Sabato per l’uomo, il che significa che la legge è fatta per
soddisfare i bisogni dell’uomo e non l’uomo per il puro rispetto della legge.
Sono i giudici formalisti, cioè strettamente legalitari, quelli che
sottopongono ottusamente gli uomini all’imperio delle leggi, sacrificando i
loro diritti inviolabili. Essi non fanno vera giustizia e perciò tante sentenze
scontentano! Scontentano anche voi giovani quelle nelle quali è stata applicata
la fredda regola contro ogni principio umanitario e di giustizia.
Si disse ancora: quest’uomo ha
perdonato una donna sorpresa in flagrante adulterio. Si pensi che dopo duemila
anni si è dovuto muovere un mondo intero per salvare dalla pena di morte Amina
e Schatira, due donne condannate in Nigeria, paese di religione islamica, per
lo stesso reato, abrogato negli anni ’60 dal nostro codice. In verità, quando i
farisei, per provocarlo, gli portarono davanti una donna sorpresa in flagrante
adulterio e gli chiesero se dovevano lapidarla o meno, Gesù si trovò in grande
difficoltà, tanto è vero che per prendere tempo si mise a disegnare degli
scarabocchi sulla sabbia con un pezzo di legno. Dopo aver meditato a lungo, se
ne uscì con quella frase famosa: “Scagli
la prima pietra chi è senza peccato”, che immobilizzò i presenti. Non fu,
badate bene, un perdono vero e proprio. Egli trovò le parole più belle e più
giuste per non far uccidere quella donna, perché Gesù era animato soprattutto
da un sentimento d’amore che implicava necessariamente il massimo rispetto
della persona umana.
Altra accusa grave fu la
cacciata dei mercanti dal tempio, che colpiva gli interessi della ricca
borghesia del tempo, ma il capo d’imputazione più grave fu pur sempre un reato
di natura religiosa, quello di aver detto: “Io
distruggerò questo tempio e lo riedificherò in tre giorni”. Su questa
minaccia di distruzione del tempio s’incentrò, si può dire, l’intero
dibattimento, nel corso del quale i testimoni chiamati a deporre non furono
concordi, come prescriveva il Talmud, che disciplinava il processo ebraico.
Vista perciò fallita tale prova, il grande sacerdote Caifa, il quale aveva
capito la personalità non comune dell’imputato, governata dall’utopia di un
mondo di amore e da una visione della vita altissima e spirituale, pose a Gesù
una domanda di fondo, con energia: “Io ti
scongiuro per il Dio vivente di dirci se sei il Messia, il Figlio di Dio”,
e quand’egli rispose “Tu l’hai detto, e
vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra dell’Onnipotente”, il sommo
sacerdote allora si stracciò le vesti e disse: “Ma che abbiamo bisogno più di testimoni? Costui ha bestemmiato ed è reo
di morte”, ed il Sinedrio confermò la condanna.
Badate bene, ragazzi, Gesù non
fu condannato per nessuno dei capi d’imputazione di cui vi ho detto. La
dissacrazione del Sabato, il perdono dell’adultera, la cacciata dei mercanti dal
tempio, la minaccia di distruggere il tempio, le frequentazioni di prostitute e
di esattori d’imposte, di cui pure lo accusavano, ma per la grave bestemmia
commessa davanti al Sinedrio nel proclamarsi Figlio di Dio. La condanna alla
pena di morte non poteva però essere eseguita senza il beneplacito del
governatore romano, Pilato, al quale tuttavia non aveva senso riferire: “Costui
ha detto di essere il Figlio di Dio”. Pilato, se credente, aveva fede negli dei
dell’Olimpo greco, ma non poteva concepire astrattamente il Dio degli ebrei.
Perciò, allorquando lo portarono da lui, dissero: “Ti abbiamo portato un malfattore, costui sobilla il popolo, proibisce
di pagare il tributo a Cesare, e dice di essere il Re dei giudei”,
cambiando versione accusatoria rispetto alla condanna del Sinedrio: non “Figlio
di Dio”, ma “Re dei giudei”. Nel presentarlo davanti alla sua persona, non
accedettero al Pretorio, ch’era per loro zona d’infedeli, perché temevano di
contaminarsi e di non poter poi consumare la Pasqua. Gli chiese Pilato: “Sei il Re dei giudei?” Allora Gesù
disse: “Io sono Re, ma il mio regno non è
di questo mondo e sono venuto a predicare la Verità”, al che Pilato
domandò: “Ma che cos’è la Verità?”
(“Quid est veritas?”). Guardate, io ve lo dico con questo tono come se avesse
“snobbato” Gesù, perché Pilato era un romano e non era portato a concepire idee
astratte come la virtù o la verità. Chiese “che cos’è la verità” quasi fra sé e
sé, come se ripetesse una domanda a cui non era possibile rispondere, tanto è vero
che, senza attendere risposta da Gesù, uscì subito fuori a parlare con i
giudei. Poi tornò nel Pretorio e, mentre i giudei insistevano nel chiedere la
crocifissione, gli disse: “Senti quante
cose dicono contro di te”? Siccome Gesù taceva e questo silenzio lo
meravigliava molto, e forse un poco lo seccava, il governatore romano gli parlò
così: “Ma lo sai che da me dipende la tua
vita o la tua morte? io ho il potere di farti crocifiggere oppure di salvarti”,
ma Gesù con calma gli rispose: “Tu non
avresti questo potere se non ti venisse dall’alto”, e furono le sue ultime
parole nel processo. Sono di una forza non definibile, rivelano una statura
tale che affascinò persino Nietzsche, che nell’Anticristo scrisse: “La pratica
della vita è ciò che egli ha lasciato in eredità agli uomini: il suo
contegno davanti ai giudici, agli sgherri, agli accusatori e a ogni specie di
calunnia e di scherno, il suo contegno sulla croce. Egli non resiste, non difende il suo diritto, non fa un
passo per allontanare da sé il punto estremo, fa anzi qualcosa di più, lo provoca... e prega, soffre, ama con loro, in coloro che gli fanno del male...” L’unico estremo tentativo di
salvarlo, dovuto ad una raccomandazione che la moglie Claudia Procula gli aveva
inviato tramite un’ancella mentre sedeva in Tribunale, fu quello di far
scegliere un prigioniero da liberare, ma il popolo ebreo scelse Barabba, che
era un rivoluzionario, dal quale si attendeva la liberazione dal dominio di
Roma. In definitiva Gesù si vide vicina ancora una volta una donna. La Chiesa
ortodossa l’ha elevata agli altari e celebra Santa Procula il 27 ottobre.
Pilato abbandonò dunque Gesù
al suo destino. All’atto della crocifissione gli diedero da bere vino misto a
fiele o vino mirrato, una sorta di narcotico che serviva a stordire il
condannato e ad attenuare così le inimmaginabili sofferenze dell’inchiodatura
sulla croce, ma lui lo rifiutò. Un uomo giusto, di nome Giuseppe di Arimatea,
che pur essendo un membro del Sinedrio viene ritenuto nei Vangeli un discepolo
occulto, si fece avanti a chiedere coraggiosamente a Pilato il corpo di Gesù e
la sua richiesta fu accolta da Pilato. Tenete presente, ragazzi, che i
condannati alla crocifissione solitamente duravano a lungo, per cui si usava
talvolta il crurifragio, si spezzavano
cioè le ginocchia, cosicché il corpo si abbassava e le braccia, comprimendo il
torace, provocavano la morte per asfissia. Poiché era imminente la Pasqua, fu
praticato ai due ladroni crocifissi con lui, ma non a Gesù perché si accorsero
che era già morto. Sempre Giovanni si dichiara testimone oculare dell’episodio
del soldato romano che trafisse con la lancia il costato, da cui fuoriuscì
sangue e acqua e invita tutti con fermezza a credere a quanto lui asserisce,
lasciando dedurre che forse era corsa qualche voce dubbiosa dell’effettiva
morte di Gesù sulla Croce. Solo Giovanni parla di questa ferita che è l’unica
mortale e che compare nella Santa Sindone. Ottenuto il corpo di Gesù, Giuseppe
di Arimatea provvide a farlo deporre dalla croce e a farlo seppellire in un
sepolcro che aveva da poco costruito nel suo orto. Anche Giovanni ne dà una
indiretta conferma quando narra di Maria Maddalena che non riconobbe Gesù
risorto accanto a lei, credendo che fosse l’ortolano.
Questo è il processo a Gesù,
ma prima di lasciarvi intendo accennare, fra i tanti valori da attualizzare,
alla grande rivalutazione della donna che c’è nei Vangeli. A quel tempo le
donne non avevano la capacità di testimoniare. I Vangeli le hanno rese
testimoni della Resurrezione. Chi va al sepolcro all’alba del terzo giorno?
Sono solo donne, tranne che nel racconto di Giovanni. Lungo la “Via Crucis” c’è
la Veronica, che gli asciuga il viso madido di sudore e macchiato di sangue.
All’atto della crocifissione, “le donne osservavano da lontano”. È probabile
che tra loro ci fossero, benché non menzionate espressamente, Marta e Maria di
Betania. Betania è un paesino alle porte di Gerusalemme. Quando i farisei
accusavano Gesù che se la faceva con le prostitute, probabilmente alludevano
alle donne di quella casa di Betania, che lui frequentava spesso, talvolta
pernottandovi. Si chiamava la casa di Simone il lebbroso, questa casa tanto
chiacchierata ma a lui tanto cara. Fratello di Marta e Maria era Lazzaro, che
lui aveva resuscitato da morte. Ma la donna che gli sta sempre a fianco è
comunque la Maddalena, che egli aveva conosciuto probabilmente agli inizi della
sua predicazione poiché Magdala è un paesino sul lago Tiberiade a 18 chilometri
da Nazareth. Tutti e quattro gli Evangeli testimoniano la sua presenza sotto la
Croce. Lo seguì fino alla visita al sepolcro e anche oltre, dopo la
Resurrezione, avendo voluto lui mostrarsi per prima soltanto a lei,
evidentemente perché le ricambiava lo stesso amore, come viene riferito nel
Vangelo di Filippo, che è uno dei cosiddetti Vangeli Apocrifi.
Ragazzi, capirete che tra le
tante esperienze della vita un vero amore è la più grande fortuna che si possa
avere. Oggi voglio farvi anche un augurio, di trovarlo un amore così bello,
vero, serio; di riuscire a concepire un amore profondo, immortale e
irrinunciabile quale fu quello tra Gesù e Maria di Magdala.
Gesù era verosimilmente bello,
o quanto meno aveva un aspetto maestoso, come si può dedurre dal fatto che le
guardie che andarono ad arrestarlo, appena lo videro, indietreggiarono e
caddero a terra. L’altezza dell’uomo della Sindone è di metri 1,77, e io
all’autenticità della Sindone, ragazzi, quasi ci credo. Gesù aveva fama di
essere amante della buona tavola ed anche del vino. Quest’uomo amava tanto la
vita, era insomma un uomo vero! Perciò egli appare ancora più grande nel
momento in cui va incontro alla croce e l’accetta con sfida, con quelle
indimenticabili parole con cui rispose all’arroganza del potere.
Non sono ancora giunto a
credere alla Resurrezione, ma ho il convincimento certo che quest’uomo era
munito di poteri taumaturgici soprannaturali. Si può pensare che egli abbia
emanato una grandissima irradiazione sul lenzuolo con cui fu avvolto il suo
cadavere. Sulla Santa Sindone, infatti, l’immagine di Gesù è stampata come il
negativo di una fotografia e si son fatte tante prove per riprodurre
quell’immagine in negativo, ma nessuno c’è riuscito. Alcuni scienziati hanno
anche detto che c’è stata una forte irradiazione di calore, un’energia
fortissima che avrebbe impresso su quel lenzuolo l’immagine di lui, e qualcuno
è giunto a dire che il maggior calco dell’immagine impressa sta sulla parte
superiore del lenzuolo e potrebbe essere interpretato come un segno di
elevazione..., cari ragazzi, io non credo alla Resurrezione, però a leggere
queste constatazioni della scienza mi vengono i brividi e penso ci sia ancora
da discutere a lungo per negare che la scienza possa dare sostegno alla fede.
Questi segni di irradiazione verso l’alto potrebbero significare una...
elevazione dal sepolcro... la Resurrezione!
Ma la razionalità riprende
purtroppo in me il sopravvento, non riesco a credere ad una Resurrezione della
carne, ma riesco tuttavia a concepire una Resurrezione in senso teologico. La
Teologia mi consente una interpretazione di quel mistero che non è lontana
dalla filosofia. Ebbene, ai ragazzi che dubitano io propongo: sulla Croce muore
il Dio biblico, Javeh, il Dio che scaccia Adamo ed Eva dal giardino terrestre
senza perdonare la loro disobbedienza, il Dio del diluvio, il Dio che ordina ad
Abramo di uccidere il figlio Isacco, il Dio vendicativo al pari degli dei
dell’Olimpo, e risorge il Dio del giardino terrestre che amava le due creature
prima di scacciarle, il Dio misericordioso, il Dio dell’amore, che si era
incarnato in Gesù: Il Dio buono è già risorto nel momento in cui, parlando per
bocca di Gesù, dice: “Padre, perdona loro
perché non sanno quello che fanno”. Come Adamo ed Eva, che prima della
disobbedienza non hanno attinto ancora la conoscenza, così i carnefici di Cristo
“non sanno quello che fanno”, perché il sacrificio di Gesù li ha già purgati
del peccato originale, riportandoli a prima che, disobbedendo a Dio,
mangiassero il frutto dell’albero della conoscenza.
È una mia idea, naturalmente.
Vi prego di accettarla come espressione sincera della mia “religiosità”.
Monsignor Giovanni D’Alise
L’avventura vissuta dalle
persone che hanno incontrato Gesù in questi primi anni è stata questa: l’essere
affascinati da un uomo che ti catapulta in un’altra dimensione: all’inizio tu
non sai qual’è questa dimensione, poi scopri che essa è la dimensione divina,
cioè è Dio. Non c’è altro segno sulla Terra per scoprire Dio, è inutile. Anche
tutto il lavoro dei filosofi ci porta a un concetto, a una definizione di Dio,
ma se vogliamo essere introdotti nella realtà di Dio non c’è altra possibilità
se non quella di mettersi, occhi negli occhi, con Gesù, capirlo come uomo, e
quando hai capito tutto il suo cammino allora t’accorgi che lui ti ha
introdotto in una dimensione nuova.
Nello stesso processo il
momento per me più alto, il momento che nessun aggettivo riesce a qualificare,
è quello in cui si incontrano Gesù e Pilato, uno di fronte all’altro. Pilato,
che rappresenta il potere più forte in quel momento storico, il potere dei
Romani quasi padroni del Mondo, e Gesù che sembra un uomo qualunque, ma porta
dentro di sé la dimensione dell’essenza divina. E Gesù ci coglie e ci porta
piano piano con mano a farci scoprire una realtà profonda. E quella realtà che
sta di fronte a lui e che è impersonale in Pilato, che dietro di sé ha tutto il
mondo romano, è nient’altro che qualcosa di questo mondo. Quando dice: “non
avresti questo potere se non l’avessi ricevuto dal Padre”, fa una distinzione
chiara, cioè tu, Pilato, non sei al di sopra, tu fai parte di questa caducità
del mondo. Il suo silenzio, il porsi davanti a lui e il non difendersi, per me
significa una sola cosa: egli è Dio, è venuto e si è fatto uomo, non ha bisogno
di difendersi. Perché non ha bisogno di difendersi? Perché lui ha posto delle
domande e compiuto delle azioni che sono un pugno nello stomaco delle persone.
Nessuno si sarebbe permesso mai di dire sul “Sabato” quelle parole, nessuno si sarebbe permesso di cacciar via i
mercanti dal Tempio, nessuno si sarebbe permesso di fermare la condanna a morte
di un’adultera. Lui si è permesso, attraverso un modo che ha trasmesso un
valore senza usare violenza, di rispettare l’uomo prima che il Sabato, quello di rispettare la casa di
Dio prima della vendita, etc. Allora sta dando dei segnali all’umanità di oggi
per cogliere ciò che non si può cogliere qui sulla Terra, perché il discorso
vero è: come faccio a cogliere il Divino? Mentre mi trovo qui in questo mondo
che è tutto passeggero, caduco, mortale, come faccio a cogliere l’immortale? E
allora guardatela quella figura, Gesù è mastodontico, per me non trovo un’altra
parola, moralmente mastodontico davanti a tutta l’armata, a tutto l’armamento,
a tutti gli orpelli del potere umano. E lui è lì, spoglio, completamente
domato. Guardate, non si può fermare l’interrogativo su Gesù solo alla
condanna. Va guardato tutto, perché quella condanna ci apre il passaggio a ciò
che è il Divino che irrompe nell’umano, cioè la Resurrezione.
Allora io non mi stanco mai di
contemplare quella scena tra Pilato e Gesù e c’è un discorso che il Giudice ha
captato bene perché conosce molto bene il Vangelo. Io aggiungerei solo una
cosa: “Lì, se una persona vuole veramente capire, può capire perché Gesù oppone
il silenzio”. Il Silenzio insieme alla parola è il veicolo attraverso il quale
Dio parla. E in quel momento, in un momento in cui tutti sono contro Gesù,
compresa l’incertezza di Pilato, quella incertezza viene dal messaggio inviato,
ma certamente a me piace vederla così: Pilato ha capito e ha colto che quest’uomo
non è uno dei quei quattro ribelli velleitari che spesso arrivavano davanti a
lui. Qui ci sta qualcosa di grande e comincia a temere. Perché? Non abbiamo
toccato il momento in cui lui fa il tentativo di liberarlo, ma non perché ha
capito fino in fondo, ma perché ha capito che tratta con una persona che è
troppo grande, che lo affascina con quel silenzio. Chiunque avrebbe
sgambettato, avrebbe detto o fatto qualcosa, lui perché non fa e non dice
nulla? Perché lui non si deve difendere, lui è venuto per porsi in mezzo al
Mondo e per chiamare tutti gli Stati, chiamare tutti quelli che vogliono
incasellarlo. Quell’uomo Gesù non lo incaselleremo mai, perché è di questo
mondo ma non è di questo mondo.
Qui è l’unica possibilità che
abbiamo di cogliere profondamente la rivelazione del Divino. Quel breve
discorso tra Pilato e Gesù per me è affascinante quando si parla della Verità.
Gesù con il suo silenzio e il suo fascino porta Pilato a domandare: “Cos’è la
Verità”? E allora, badate bene, da un lato c’è la verità che si proponeva
allora: la forza, Pilato. Pilato è il rappresentante di un Impero che ha
fondato tutto sulla forza delle armi e sulla divisione delle classi. Da
quest’altra parte c’è un uomo spoglio, il quale dice: cos’è la Verità? la
verità la devi cercare, sta lì, la verità è quella: non c’è potere umano che
non venga da Dio, e non c’è potere umano che può mettersi al posto di Dio. In
quella sua nudità, in quel suo silenzio e in quel dire “la Verità”, l’uomo deve
continuare la ricerca. E la verità dov’è? È esattamente in Gesù. Lui aveva
detto: “Io sono la Via, la Verità e la Vita”, parole molto forti che troviamo
nel Vangelo di Giovanni. Vedete che i Vangeli sono stati scritti vari anni dopo
la morte e la Resurrezione di Gesù, e quando si è riordinato il materiale su
Gesù – queste cose bisogna collegarle – quell’interrogativo rimasto in sospeso
davanti a Pilato bisogna ricollegarlo al Gesù che ha detto: “Io sono la
Verità”. E cioè a dire: c’è qualcuno che regge il mondo? C’è qualcuno che non
lo puoi piegare neppure con un processo falso? Non l’hanno piegato perché Gesù
è risorto.
Questo è il discorso vero, per
questo io mediterei a lungo davanti a quella nudità di Gesù, a quell’essere con
le mani legate, a quel silenzio, e dall’altra parte il rappresentante del
potere, con i gendarmi, con tutta la sua prosopopea, ma non con la Verità. L’ha
detto il Giudice, quel giudizio non contiene la verità, mentre quell’uomo
contiene la Verità con la “V” grande, davanti alla quale ci dobbiamo confrontare,
fratelli miei! Confrontare, e non possiamo dire: “Non mi interessa”. Ragazzi,
non cadete in questo tranello, voi siete liberi di fare quello che volete, ma
non cadete nel tranello di mettere subito da parte Gesù. Davanti a questa
persona dobbiamo prendere una decisione. C’è uno scrittore francese,
bellissimo, ha scritto i Pensieri...
Giudice Iannarone
Pascal...
Monsignor D’Alise
Sì, Blaise Pascal. Allora
Blaise Pascal ha affermato che davanti a Gesù non si può dire: “Non m’importa”.
Nel momento in cui dici: “Non importa” hai già preso la decisione. Allora
guardate Pilato e Gesù: non ci potrà essere mai Legalità se non c’è la Verità.
Per questo quel processo non è accidens
nel discorso dei Vangeli, ma è ancora una fase rivelativa del Cristo, perché
non c’è un’altra strada per incontrarsi con la Verità che ci immette in Dio.
Io voglio dire a tutti quanti:
troppe cose si dicono su Gesù, ma troppe cose non sono secondo verità. A volte,
permettetemi, anche all’interno della Chiesa non ufficiale, ma nella pratica di
ogni giorno, molte cose attribuite a noi non sono la verità. E allora partendo
dal processo – e ringrazio il giudice che si sta impegnando in questa cosa –
bisognerebbe ripulire tantissime cose su Gesù e ritornare, come ha fatto il
Concilio Vaticano II, alle radici, ma non l’hanno ascoltato in molti, perché lì
veramente abbiamo la possibilità di prendere la strada per recuperare la
presenza di Dio in questo mondo. E allora non seguite le mode, ve lo dico
adesso. Io rispetto molto la libertà di tutti, ma seguite il vostro istinto di
uomini e di donne, seguite quello che sentite dentro. Quando sentite dentro di
voi l’interrogativo grande: “ma in questo mondo c’è una verità?”, perché noi vi
stiamo riempiendo... di panini, di brioche, di serate, di suoni, strasuoni e vi
stiamo togliendo, noi adulti, vi stiamo togliendo le uniche possibilità che
avete per capire se in questo mondo c’è la Verità.
Un vescovo molto amico del giudice
e mio, che non nomino, nelle sue battute più semplici diceva: “ ’A vita è nu
Teatro”.
(Si sentono sorridere i presenti in Sala).
E la vita, senza la Verità, è
un vero Teatro e invece Gesù ci ha voluto dire che la Vita è una meravigliosa
realtà. Il discorso delle Beatitudini, mi piacerebbe farlo insieme perché è
l’annuncio di come dovrebbe essere la Vita, quella Vita che rispecchia il
Divino sulla Terra. Gesù ce l’ha presentato, e in lui sono già tutte le
Beatitudini, quel silenzio, quella dolcezza nel rispondere mentre lo
schiaffeggiano, quell’andare incontro alla morte: “Padre, perdona loro perché non
sanno quello che fanno”. In lui sono concentrate tutte le Beatitudini, ma senza
la Resurrezione non è possibile vivere le Beatitudini, non è possibile. Poi voi
me lo dimostrerete, ma io vi dimostrerò che senza la Resurrezione non è
possibile vivere le Beatitudini, perché se non c’è questo quadro di riferimento
il discorso di Gesù non si comprende. Il discorso di Gesù si può vivere fino a
un certo punto, ma nella sua globalità. Nella visione che lui ci porta è un
discorso che è possibile se facciamo il passaggio da Gesù Uomo a Gesù Dio e con
quegli occhi riguardiamo la Vita, tanto è vero che Gesù viene presentato da
Paolo come l’Uomo nuovo, e noi di questo abbiamo bisogno. Dopo 2000 anni stiamo
ancora alla ricerca di questo e non riusciamo. Vedete un attimo come la cultura
umana scandaglia, arriva a delle verità profonde, si avvicina alla porta della
Verità ma non può aprirla, perché la porta della Verità si apre dall’altra
parte e Gesù è venuto per aprire questa porta, però è molto importante che noi
facciamo l’itinerario. Per cui questi tentativi, i tentativi personali per
cercare in questo mondo ed arrivare a quella verità sono lodevoli.
Io vi benedico tutti, sono
contento, sono veramente questi gli itinerari che portano a maturità. Quando
infatti l’uomo si chiude e si accontenta solo di mangiare, bere e fare l’amore,
si è già chiuso, cioè è finito tutto, ma in tutto questo si può scoprire la
profondità della Vita perché dietro il mangiare, il bere, il procreare, etc.,
ci può essere anche un modo diverso di vivere. Quello che io vi auguro è che
possiamo anche noi tentare di presentare l’Uomo nuovo, quello di cui gli uomini
e il mondo hanno bisogno, perché gli uomini che conosciamo sono veramente
vecchi. Grazie.
(Intervento di studenti con domande varie...)
Monsignor D’Alise
Cercherò di essere il più
breve possibile, però chiedo a voi qualche istante di ascolto, non con le
orecchie, ma con il cuore, perché quello che mi avete chiesto sulla
Resurrezione è il cuore stesso dell’annuncio cristiano. Della Resurrezione non
si può parlare come un qualcosa da spiegare a livello scientifico o attraverso
i normali canali della razionalità. Quando noi parliamo della Resurrezione
siamo a quel momento in cui si è fatto con impegno il cammino di ricerca e si è
alla porta del Divino, ma poi ci deve essere una gran mano di Dio per entrare.
Ricordiamo che la Fede è un dono di Dio che bisogna meritare, che arriva nel
momento in cui c’è stato tutto il cammino della ricerca umana. E allora andiamo
e insieme sotto la Croce, mettiamoci tra la gente che è andata lì, tra quelli
che guardavano da lontano o addirittura tra quelli che hanno inchiodato le sue
mani.
Quel discorso, quello che è
successo sulla Croce, è comprensibile all’interno di tutto il cammino biblico,
altrimenti si resta fuori. Oltre agli apostoli e a circa 500 discepoli, nessun
altro ha visto Gesù risorto. Dunque, se non c’è il cammino biblico, non è
comprensibile quella morte e non è comprensibile quella Resurrezione. Che cosa
ci dice il Vangelo? Che Gesù ha annunciato tre volte quel momento e nel Vangelo
di Giovanni dice: “È la mia ora”.
Gesù è partito dal seno del Padre con una missione sulla Terra, quella di
riunire l’Umanità dispersa e far capire a tutti che hanno un Padre. Se noi
togliamo questo progetto per il quale è venuto, non capiamo quasi nulla. La
lettera agli Ebrei dice: “Dammi un corpo,
vado io”. “A fare cosa”? A riunire i fratelli dispersi. Questi fratelli,
Dio aveva già tentato di riunirli attraverso questo popolo particolare che si
era scelto, attraverso quel passaggio del Mar Rosso, attraverso la Pasqua
ebraica, immagine e simbolo di quella Pasqua finale di Cristo, del passaggio
attraverso la morte per arrivare alla vita.
Ora ritorniamo sulla Croce,
Gesù sa che il Padre non lo abbandonerà e nonostante l’abbandono di tutti, Gesù
non smette quel discorso cominciato con il dare la vita, cioè il discorso
dell’amore senza misure, perché del Cristianesimo non è solo il comandamento
dell’amore ma è il concepirlo senza misura. Gesù sale sulla Croce, abbandonato
da tutti e si mette nelle mani del Padre “Nelle
tue mani io rimetto il mio spirito”. È il segno dell’obbedienza che parte
dal senno della Trinità, passa attraverso tutti gli stadi della vita terrena di
Gesù e sulla Croce quell’obbedienza fatta al Padre cancella la disobbedienza
del giardino dell’Eden, la disobbedienza di Adamo e di Eva perché fino a
quell’attimo non c’è stato un sì pieno al Dio Creatore, non c’è stato un sì
pieno al Dio Salvatore. E allora lui, carico di tutta l’umanità – perché non
dobbiamo dimenticare che Gesù sale sulla Croce carico di tutta l’umanità – fino
all’ultimo dice il suo “Sì” e anche quando ha paura e recita il Salmo 23 per
esprimere la sua paura, come uomo lui sperava: “Il Padre troverà uno
stratagemma per salvarmi”, ma quando si è visto inchiodato sulla Croce ha
capito che questo non sarebbe avvenuto. E allora ha detto: “Padre nelle tue
mani rimetto il mio spirito”, ma prima ha usato un Salmo che è parola di Dio,
per gridare in quell’istante il lamento dell’umanità intera: “Perché mi hai abbandonato”? Perché
l’umanità non l’ha più visto, Dio. Gesù sente il silenzio dell’abbandono del
Padre, quello che è stato il dolore più grande dell’umanità. Il dolore più grande
della sua umanità non è stata la condanna ingiusta, neppure l’abbandono dei
discepoli, ma l’aver sentito anche l’abbandono del Padre. Gesù è solo sulla
Croce e nonostante tutte le ragioni per ribellarsi è rimasto nell’obbedienza al
Padre. Dice San Paolo, quando spiega la Resurrezione: “Questa cosa è talmente piaciuta al Padre che lo ha resuscitato dai
morti”, cioè il Padre non ha usato quello stratagemma che pur si aspettava
lui, ma ha dato una risposta prudente per l’umanità intera: “La morte è stata
vinta”.
Questo ha da annunciare il
Cristianesimo: che la morte non è l’ultima sconfitta dell’uomo, ma è la
possibilità di entrare nella Vita. Nient’altro. Nel momento in cui Dio ha
sconfitto per noi la madre di tutte le paure, che dà il nonsenso a tutte le
cose, ecco che abbiamo un ordine nuovo del Mondo, ecco che comincia la Vita.
Quando noi andiamo a Messa e rinnoviamo il mistero della morte e della
Resurrezione del Cristo, noi diciamo: “Nuova ed Eterna Alleanza”. Cioè è
ritornata quell’Alleanza definitiva di Dio con l’Umanità. Vedete che cosa
grandissima dice il Cristianesimo? Gesù è entrato in Cielo alla destra del
Padre con il nostro corpo trasformato dalla Resurrezione. Quella Umanità che
era lontanissima da Dio Gesù l’ha ripresa e l’ha riportata dentro la Trinità
stessa. Se noi spezziamo queste cose, non capiremo. Questo è l’itinerario che
attraversa veramente la ricerca dell’uomo: “A chi mi ama mi manifesterò”,
attraverso l’amore, il sentimento che è la via più grande per poter fare
quest’ultimo percorso. Senza quest’ultimo percorso la figura grandiosa del Gesù
può anche affascinare ma è incompleta. Qui nasce la Fede, cioè come Gesù si è
abbandonato nelle mani del Padre rivivendo quello che aveva vissuto Abramo
quando stava per uccidere il figlio Isacco. Contro ogni speranza, dice San
Paolo, Abramo ha creduto, e Gesù, contro ogni negatività umana, inchiodato
sulla Croce, ha creduto all’amore del Padre e il Padre glielo ha dimostrato
attraverso la Resurrezione.
Intervento degli studenti
Molti di noi si stanno
avvicinando a un traguardo importante della vita, l’esame di Stato, una volta
erano chiamati gli esami di Maturità. È un momento di crisi, un momento in cui
ci si sente squassare dentro, siamo chiamati a decidere della
nostra vita. Sappiamo di non poter trovare da soli la nostra strada perché il
problema principale non è porsi la domanda come il titolo di un noto film: “Che
ne sarà di noi” ma la domanda essenziale: “Chi saremo noi”? In un mondo sempre
più difficile da vivere, dove la paura sembra prendere il sopravvento, la paura
di non trovare un lavoro stabile, la paura di non trovare corrispondenza al
bisogno di affetti veri che abbiamo, la paura che il tempo ci scorra addosso e
corra via senza lasciare traccia, la paura che la violenza, il fanatismo e
l’egoismo diventino la regola, guardiamo a Lei come guida che abbiamo sempre
seguito, perché abbiamo sempre più bisogno dei discorsi degli adulti che ci
offrono la speranza.
Stiamo facendo con i nostri
insegnanti di religione un cammino di riflessione proprio su questo: cosa
c’entra il Cristo e la certezza di essere figli di Dio con la nostra vita e con
il desiderio di felicità, turbato dalla certezza di dover soffrire e di dover
morire, che è nel cuore di tutti noi? Per questo l’incontro di oggi su un tema
così affascinante come “Il Processo a Gesù”, ci ha aiutato più che a soddisfare
delle curiosità a poter conoscere con lui l’ipotesi positiva su cui, volendo,
si può costruire il futuro. Ringraziamo la Preside e i Docenti che mostrano
grandissima sensibilità e disponibilità a che questi temi vengano immessi nel
cuore del cammino educativo.
Eccellenza, abbiamo deciso di
regalarle un calice e una catena fatta da noi, è un piccolo segno della nostra
amicizia. Sarebbe bellissimo se potesse celebrare l’Eucarestia almeno una volta
in questa scuola, con questi oggetti che esprimono la nostra piccola Fede ma
anche il nostro grande affetto.
Grazie ancora.
(Applausi da parte di tutti i
presenti)